Molte aspettative hanno accompagnato l’uscita del film di Marco Bellocchio “ Fai bei sogni” (O1 Distribution), liberamente tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Massimo Gramellini. Sulla carta un’operazione di tutto rispetto, per cast e regia, eppure il film è stato accompagnato da pareri contrastanti. Già la trasposizione cinematografica è impresa ostica dovendo sfidare l’immaginario del lettore ed esserne all’altezza. Lo è a maggior ragione quando si tratta di un libro come quello di Gramellini che nel 2009 sbancò le librerie con oltre un milione di copie vendute, portando a conoscenza del grande pubblico la storia di sé bambino, orfano di madre, e del difficile percorso di crescita compiuto nel vuoto siderale degli affetti. Ma Bellocchio è regista navigato e di esperienza, e soprattutto -si è detto e rimarcato- la sua è una ‘libera’ interpretazione del soggetto letterario. Sulla medesima scia lo stesso Valerio Mastrandrea, attore principale a cui è affidato il ruolo di Massimo adulto, ha dichiarato di non aver letto il libro proprio per affrancarsi dai legacci del personaggio Gramellini.
Solo che questa rivendicazione di libertà sembra un po’ contraddittoria rispetto al prodotto cinematografico. L’omonimia del titolo, il nome del protagonista -Massimo appunto- l’ambientazione in una Torino non già mera scenografia ma metafora calcistica di un’assenza dolorosa nonostante il tempo trascorso, legano a doppio filo film e attori al soggetto letterario. Prenderne le distanze finisce con l’inficiare non già sulla coerenza di un protagonista solitario e dolente in linea con il trauma vissuto, quanto sulla sua credibilità. Questa infatti resta affidata molto più al piccolo Nicolò Cabras, perfetto interprete di ‘Massimo’ bambino, che non a Valerio Mastrandrea. L’attore non appare del tutto calato nella parte, a causa di una ‘romanità’ troppo presente nella sua recitazione, nervosa, compressa, lontanissima dalla asciutta riservatezza tipicamente torinese. La accurata scelta di un attore bambino con l’accento piemontese e il rotacismo, ovvero con la cosiddetta r moscia, dunque con un tratto distintivo fortemente caratterizzante lo stesso Gramellini, scompare del tutto nel personaggio adulto, nel quale il difetto di pronuncia viene addirittura sostituito da una cadenza romana che indurisce consonanti e modi di agire, e che risulterebbe molto più convincente se solo si parlasse di un altro ‘Massimo’ ma non del Gramellini che tutti conosciamo.
Insomma, è un film di per sé valido ma guastato dalle interferenze letterarie. Un vero peccato perché rappresenta invece una bella occasione per riflettere sul tema del ‘vuoto’. Vuoto da un quinto piano, vuoto di parole che diventa silenzio minerale, vuoto di persone siano essi assenti o presenti, vuoto di dialogo e di contatto, vuoto di coraggio nel dare un nome alle cose, vuoto di connessione prima di tutto con se stessi e poi con gli altri. Vuoto.
L’idea di un film che proceda per sottrazione, che non miri a dare la soluzione, ma che lasci lo spettatore scomodo sulla sedia alla ricerca del ‘proprio’ riscontro sul tema è profondissima e del tutto degna di attenzione. Spetterà alla capacità cognitiva e introspettiva di ognuno fornire la risposta a quale sia l’effetto che il vuoto produce nelle nostre vite, soprattutto ragionando su quanto il vuoto sia il vero tabù dell’oggi.
Un esempio fra tutti la frase “si diventa grandi non con i se, ma con i nonostante” . Lanciata come una pietra nello stagno dilaga in sala in cerchi concentrici, toccando via via ogni spettatore, e costringendo ciascuno a fare i conti con gli effetti delle proprie mancanze.
di Lidia Monda
Ecco il Trailer: