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Vent'anni senza Marcello Mastroianni

Sono passati vent’anni da quando Marcello Mastroianni se n’è andato. Tantissimi se pensiamo che era il 1996, eravamo ancora nel secolo scorso, l’euro non aveva ancora fatto il suo ingresso e le Torri Gemelle erano ancora in piedi. Di storia ne è trascorsa, eppure non c’è stato un momento in cui la presenza di Marcello Mastroianni non sia stata forte, al punto da ascriverlo, con il consenso di pubblico e critica, nel piccolo olimpo di artisti immortali. E’ stato infatti uno dei pochi veri divi che l’Italia si è concessa nel corso del Novecento, un uomo che ha fatto del cinema il suo mondo, calandosi in innumerevoli ruoli, distinguendosi per la passione nel lavoro e conservando la capacità di imparare e migliorare nel suo mestiere lasciandosi guidare dai registi che di volta in volta lo hanno diretto senza quelle manie di onnipotenza spesso presenti nell’ambiente cinematografico di alto livello.
Parlare di Marcello Mastroianni in poche righe è davvero riduttivo e sappiamo già, fin da principio, che questo articolo non potrà rendere giustizia ad un artista e grande uomo che tanto ha dato al cinema italiano. Mastroianni rappresenta infatti una parte importante di quel patrimonio cinematografico che ha reso per anni l’Italia di celluloide nota nel mondo e che ancora oggi rimane un termine di paragone imprescindibile, anche se a volte quasi ingombrante, per tutto ciò che si vede sul grande schermo nostrano.
Marcello Mastroianni ha percorso una fetta rilevante di Novecento, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale alla metà degli anni ’90, e che ha trovato nel cinema un mezzo straordinario per raccontarsi con sincerità talvolta in modo spietato, altre con un tono drammatico e altre ancora con un piglio comico.
La carriera di Marcello Mastroianni inizia presto. E’ il 1938 quando entra per la prima volta negli studi di Cinecittà e partecipa come comparsa nel film di Carmine Gallone “Marionette”. Erano anni particolari in cui fare cinema per un ragazzino di 14 anni “non era solo un gioco o il sogno di fare quel mestiere, ma anche la necessità di guadagnare qualche soldino in più, date le condizioni”, come ha detto il diretto interessato. A quella prima esperienza ne sono seguite altre, con continuità,  passando per “La corona di ferro” di Alessando Blasetti (1941) a “I Bambini ci guardano” di Vittorio De Sica (1943). Fare la comparsa per il giovane Marcello era diventata un’attività che aveva deciso di portare avanti con convinzione e dedizione.
E’ fine anni ’50, un passetto alla volta, che Marcello Mastroianni emerge nel panorama cinematografico italiano e internazionale per poi imporsi come uno dei migliori attori di sempre. Quando nel 1958 esce “I Soliti Ignoti” Mastroianni è già un interprete che si è fatto notare (nell’anno precedente, per intenderci, è stato il protagonista di “Le Notti Bianche” di Luchino Visconti) per  il suo essere estroverso e capace nel vestire i panni dei personaggi più disparati. Poco importava se in ruoli comici o drammatici, Marcello era capace di entrare nella parte facendola propria e indossando ciascun personaggio con abilità e naturalezza come pochi sono in grado di fare.
La consacrazione vera e propria arriva nel 1960 con “La Dolce Vita” di Federico Fellini, regista che aveva trovato proprio in Marcello una sorta di alter ego e che lo dirige in più pellicole a partire proprio da questo titolo, diventata vero e proprio cult in tutto il mondo, fino a “Ginger e Fred” (1986) e “Intervista” nel 1987.
In mezzo una lista infinita di titoli, successi e ruoli indimenticabili. Citarli tutti sarebbe impossibile, ricordiamo però per forza di cose alcuni dei film di maggior successo come “Il bell’Antonio” di Mauro Bolognini (1960), “8 ½” di Federico Fellini e “Ieri, Oggi e Domani” di Vittorio De Sica entrambi del 1963, “Lo straniero” di Luchino Visconti (1967), “Dramma della Gelosia (tutti i particolari in cronaca)” di Ettore Scola(1972) e “Stanno Tutti Bene” di Giuseppe Tornatore (1990).
E’ bello però ricordare Mastroianni non solo per i ruoli per cui è diventato famoso in tutto il mondo, ma anche per quelli magari ritenuti secondari e che comunque hanno contribuito a rendere ricca, interessante e unica la sua carriera cinematografica. A me piace citare ad esempio “Domenica d’Agosto” di Luciano Emmer del 1950 dove Mastroianni, ancora poco noto al pubblico, viene addirittura doppiato da un altro grande attore italiano dell’epoca, Alberto Sordi.
Già da questa brevissima lista si può capire con quanti dei più grandi registi italiani di sempre Marcello abbia lavorato: Blasetti, Emmer, Fellini, Visconti, Monicelli, Antonioni, De Sica, Germi, Comencini, Ferreri, Scola, Tornatore. Sodalizi che hanno portato a grandi collaborazioni tra le quali certo spicca quella con Federico Fellini che da professionale si è trasformata ben presto per entrambi anche in un rapporto di amicizia.
Un ultimo grande regalo prima di lasciarci è di certo stato il documentario “Mi ricordo sì io mi ricordo” girato dalla compagna di Marcello, Annamaria Tatò, del quale esiste anche una trasposizione cartacea. Qui Marcello con l’umiltà e la delicatezza che lo hanno sempre caratterizzato in tutta la sua straordinaria carriera, ripercorre le tappe fondamentali di una vita privata e professionale che hanno come minimo comun denominatore il cinema, elemento imprescindibile che unisce come un fil rouge un’intera esistenza. Nel documentario traspare tutto l’amore di Marcello Mastroianni per il cinema nella sua totalità, dunque come luogo magico, come contenitore di storie in cui tutto è possibile e mondo in cui lui stesso ha deciso di spendere la sua vita con dedizione e passione.
Dice in un passo del documentario, con lo stesso entusiasmo negli occhi di un esordiente:
“C’è di tutto nel cinema! Da quello uscito di galera fino al poeta: perché il cinema non chiede referenze, non chiede mai niente a nessuno; vanno tutti bene in quel calderone. E questo è un aspetto abbastanza magico del cinematografo. E’ come andare al campeggio. Si arriva in un posto, c’è chi monta la tenda, chi accende il fuoco, chi va a cercare da mangiare. E poi… Pronti! Si gira!”.
di Caterina Ferruzzi
 

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