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Dj Fabo, viaggio al termine di una notte senza fine

Dj Fabo ha scelto il suicidio assistito in Svizzera, presso la clinica Dignitas a Forck, vicino Zurigo. Fabiano Antoniani, divenuto cieco e tetraplegico a seguito di un grave incidente automobilistico nel 2014, in questi mesi aveva inviato appelli alle istituzioni e anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere il diritto all’eutanasia. Il quarantenne Fabo viveva un’esistenza stimolante, a tratti frenetica, con la passione per la musica e una compagna che gli è sempre rimasta accanto. Anche dopo il trauma, circondato dall’affetto di amici e parenti, ha provato a non mollare. Ha continuato a resistere, a spezzare l’isolamento, ha tentato anche terapie con le staminali. Finché non ha preso la decisione, circa 6 mesi fa, e ha contattato per questo l’Associazione Luca Coscioni, di cui fa parte Marco Cappato, da tempo promotore della campagna Eutanasia legale. Per uscire da quella che aveva definito una “gabbia”, “una notte senza fine”, fuggire da un’esistenza che non gli apparteneva più.
Arrivato in Svizzera solo con l’esponente radicale per essere condotto in ospedale dove ha fatto gli esami del caso e ha confermato la sua volontà, è stato poi raggiunto dai parenti e amici più stretti. Un accorgimento resosi necessario per tutelare i suoi cari dal rischio di incorrere nel reato di istigazione o aiuto al suicidio (sulla base dell’art. 580 del codice penale), che vige in Italia. Per assumere il cocktail letale di farmaci, che in una mezz’ora l’ha portato dal sonno alla morte, ha dovuto mordere un pulsante. Evitando il coinvolgimento di terzi, si è trattato di un suicidio assistito e non di un’eutanasia. Anche in quei momenti, ha ricordato Cappato, ha persino trovato l’ironia.
I politici, dopo anni di discussioni nelle aule e furiose battaglie ideologiche tra “difensori della vita” e fautori dell’autodeterminazione, ancora non sono riusciti ad approvare una legge sul fine vita. E Fabo, dopo l’ennesimo rinvio di un progetto di legge sul biotestamento, già frutto di infinite mediazioni, ha voluto lanciare l’ultimo disperato messaggio, che è anche un j’accuse all’immobilismo italiano. L’ennesimo accorato appello che ci costringe a riflettere sull’urgenza di affermare la libertà di scelta anche per un’eventualità talmente sfortunata e dolorosa che cerchiamo di scacciarla dalla mente.
In un’epoca in cui il progresso scientifico allunga l’aspettativa e la qualità della nostra vita in maniera straordinaria, rendendola ancora più degna di essere vissuta, ma altrettanto paradossalmente può portare noi o i nostri cari a rimanere inchiodati in un letto, trattenuti per anni e anni dentro un’esistenza artificiale controllata dalle macchine che non è più la nostra vita e su cui decidono altri, i dilemmi della bioetica si riaffacciano con tutta la loro prepotenza. Stavolta Dj Fabo ce lo ha ricordato dalla Svizzera, accompagnato dal radicale in questo ultimo viaggio per mettere fine alle sue sofferenze. “Ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato”: le sue parole strozzate pesano come macigni, mentre ringrazia Marco Cappato per averlo sollevato “da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore”. Il suo grido è l’ennesimo, impossibile non ripensare ai casi di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby. Grida che la politica finge di non ascoltare, in un paese che vorrebbe dirsi civile ma che non riconosce il diritto alla dignità dell’uomo nella scelta di vivere così come in quella di morire.
di Valentino Salvatore

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