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Roma, I misteri di Tehotihuacan in una mostra

Tehotihuacan, la Città degli Dei

Di Mariano Colla

Tehotihuacan, la città degli Dei. E così essa appare, in un’ampia vallata, a pochi chilometri da Città del Messico, immersa in un’atmosfera di rispetto e di timore reverenziale a cui il visitatore non può sottrarsi. Testimonianza stupefacente di una civiltà scomparsa nel mistero, erige verso il cielo le maestose e imponenti piramidi del Sole e della Luna, sfida e contrappunto ai monti circostanti, concepiti, nella cultura di Tehotihuacan, come origine di acqua e vita. Del Tempio del Serpente Piumato, ormai scomparso, risalta l’ampia piattaforma, arricchita dai motivi decorativi di Quetzalcòatl, divinità mesoamericana della civiltà e del potere. Conservo ancora il nitido ricordo di quando, molti anni fa, percorrevo, nella calda luce del tramonto, il Viale dei Morti, asse centrale del sistema urbanistico di Tehotihuacan.

Secondo gli archeologi, nella città vivevano, nel periodo di massimo splendore, tra il III e il V secolo D.C, più di 100.000 abitanti. Luogo, storia, mistero, sacrifici umani evocano miti e leggende e Roma ha voluto farcene partecipi. Infatti, proprio in questi giorni, il Palazzo delle Esposizioni, in Via Nazionale, ospita una mostra sulla cultura di Tehotihuacan e su alcune testimonianze della civiltà precolombiana. La mostra è organizzata in sezioni tematiche che vanno dalla architettura alla urbanistica e alla politica, dall’economia alla guerra, per poi continuare nella religione e concludersi nella vita all’interno dei palazzi e dei complessi residenziali. Non è scopo di questo articolo fornire una guida accurata della mostra. Troppi sarebbero i riferimenti storici da introdurre per fornire una quadro di riferimento esaustivo sulla civiltà di Tehotihuacan e sul suo sviluppo storico-economico, per i quali rimando alla storiografia ufficiale e alla mostra stessa. Il percorso museale proposto raccoglie opere, reperti, manufatti di indiscussa bellezza, pregio e fascino, anche se una idonea ricostruzione d’ambiente avrebbe ulteriormente valorizzato la specificità degli oggetti nell’ambito della loro valenza storica. Nella sezione “architettura e urbanistica” viene dato particolare risalto sia allo schema urbanistico della città, incentrato sull’asse principale del Viale dei Morti, il cui tracciato nord-sud unisce il complesso rituale della Piramide della Luna alla Cittadella, sia alle pitture murarie, in stucco e pigmenti, ricche di motivi simbolici raffiguranti animali mitologici, riti sacrificali, guerrieri in battaglia, che, infine, ai modelli di edifici, agli utensili e ai sistemi costruttivi.

La sezione “politica, economia e guerra” rimanda, in parte, ad alcuni dei misteri che ancora avvolgono la civiltà di Tehotihuacan, quali le incognite su quale fosse la struttura del potere, su chi effettivamente regnasse – si ipotizza un governo collettivo -, sul perché gli abitanti non abbiano lasciato segni o iscrizioni di tipo commemorativo o perché non siano state trovate tombe o palazzi come sede del potere. Evidenze più concrete si riferiscono al calendario solare, a statuette raffiguranti immagini di bellicosi guerrieri, con variopinti copricapo piumati, simboli del giaguaro e di altri animali appartenenti alla mitologia del luogo, quali il coyote, l’aquila, il gufo ,etc. Anche in questo caso il materiale, esposto in teche illuminate dalla fredda luce dei led, pur conservando la sua bellezza, tradisce l’anonimato, privo come è di una rappresentatività sensibile e immaginifica, legata al luogo di provenienza.

Le religioni precolombiane erano particolarmente cruente. Il sacrificio umano si consumava con frequenza in occasione delle celebrazioni tribali. E non sono poche le testimonianze presenti in mostra che richiamano la sanguinaria ritualità di Tehotihuacan. Tra esse, uno splendido tripode raffigurante un sacerdote che impugna un coltello sul quale è infisso un cuore sanguinante, una immagine in pietra del dio della pioggia Tlaloc, da cui grondano gocce di sangue, sculture antropomorfe rappresentanti sacrifici alla Piramide della Luna, collane di mascelle umane rinvenute sui cadaveri decapitati di 200 prigionieri i cui resti, ancora con le mani legate, sono stati ritrovati sotto i ruderi del Tempio del Serpente Piumato.

La iconografia religiosa raggiunge il massimo dell’orrore con l’immagine del nume Xipe Totec, il dio scorticato che veste di pelle umana. Tutto ciò avveniva perché, secondo la tradizione mesomericana, le relazioni tra gli uomini e il trascendente che governava il mondo, si concretizzavano attraverso un reciproco e violento scambio di cibo. Se il cielo offriva il sostentamento agli uomini, questi ultimi dovevano ricambiare con sacrifici umani per il sostentamento degli dei. Rituale che ai nostri occhi può apparire macabro e crudele, se confrontato con gli aspetti della vita quotidiana, con la goliardia degli svaghi e con le raffinatezze artistiche manifestate dalla civiltà di Tehotihuacan, espressioni apparentemente poco compatibili con la brutalità della liturgia religiosa. Contrasto che emerge da incisioni e pitture che raffigurano scene di danza, strumenti musicali a percussioni e a fiato, trombe con conchiglie che allietano festività laiche e giochi con la palla, dove quest’ultima viene calciata, o colpita dai giocatori con mazze, interessante connubio tra calcio e baseball. L’artigiano di Tehotihuacan ha lasciato tracce stupende del suo lavoro, sicuramente superiori ai manufatti di epoca successiva.

Tra le molte opere in mostra vale la pena di citare i bracieri sorretti da Huehuetèotl, dio del fuoco, rappresentato come un vecchio magro, ricurvo, sdentato e raggrinzito, testimonianza del tempo che scorre, rinvenuti nei complessi residenziali dove la divinità fungeva da protettore del focolare domestico. Seguono incensieri da cerimonia a forma di quinta teatrale, composizioni originali con cromatismi ancora intatti, statuette, maschere, vasellame in pietra serpentina dalle linee stilizzate e moderne con incisi motivi geometrici, forse fonte di ispirazione per le opere di Brancusi, Modigliani e Picasso. Linee essenziali e tondeggianti caratterizzano i monili e la bigiotteria. Curiosa l’iconografia associata alle “figure ospiti”, statuette in ceramica o terracotta raffiguranti individui, con al proprio interno cavità sede di statuine più piccole. Non si conosce il motivo di tale simbologia. Si avanza l’ipotesi che le statuine più piccole rappresentino le diverse componenti della personalità della scultura ospitante.

Nell’androne del Palazzo delle Esposizioni sono collocati quattro schermi al plasma su cui scorrono le immagini di frotte di turisti che visitano Tehotihuacan. Un commento appena percepibile, quasi un sussurro, fa un po’ di storia. Discutibile scelta dei curatori per concludere la mostra. Meglio sarebbe stato, secondo me, avvalersi dei moderni strumenti informatici, quali mezzi per simulare e ricostruire realtà virtuali, riferite all’epoca, a corredo delle inanimate strutture presenti in mostra, con il duplice vantaggio di valorizzarne la visibilità storica e di ravvivare l’interesse del visitatore, interesse statisticamente in flessione a fronte di una didascalica sequenzialità espositiva. Perché, per esempio, non illustrare la sezione “urbanistica” con visioni tridimensionali della città e dei suoi edifici, con la riproposizione virtuale delle tecniche costruttive e decorative utilizzate dai muratori di Tehotihuacan, unitamente all’impiego degli utensili esibiti, quali fili a piombo, frattazzi in basalto per ottenere superficie lisce e brillanti, lame di ossidiana, spine d’agave, linfa di fico d’India, e altri? Sarebbe stato un suggestivo salto nel passato.

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