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La mediazione familiare a tutela dei minori: intervista a Monica Gioscia

di Mario Masi
Il dibattito che sta seguendo al DDL 735, proposto dal Senatore Simone Pillon si sta concentrando in particolar modo sulla figura del mediatore familiare sugli aspetti psico-educativi della mediazione familiare a tutela della bigenitorialità. Ne parliamo con la dott.ssa Monica Gioscia, educatore professionale, mediatore familiare e counselor.
Di cosa di occupa il mediatore familiare?
Mi occupo di conflitti familiari, sostegno alla genitorialità e coppie in separazione già da tempo; mai come in questo periodo sociale percepisco però la necessità di utilizzare lo strumento della mediazione familiare nell’interesse delle persone come prevenzione della violenza e gestione alternativa del conflitto. Il conflitto nella coppia, è il terreno all’interno del quale si muove e si anima la nostra professione.
Come la mediazione aiuta i genitori?
Lo scopo della mediazione è consentire ai coniugi che hanno deciso di porre fine al loro matrimonio di raggiungere in prima persona degli “accordi di separazione” e di essere gli artefici della riorganizzazione familiare che andrà a regolare la loro vita futura e dei loro figli , seguendo  il concetto delle bigenitorialità partendo dal presupposto che la responsabilità genitoriale debba essere esercitata da entrambi i genitori .  Attualmente il nuovo disegno di Legge Pillon/735 sostiene e legittima i bisogni dei figli in separazione ad essere accompagnati da entrambi i genitori nella crescita, garantendo la bigenitorialità.
Come ne beneficiano i figli?
Noi mediatori abbiamo una grande responsabilità di tutela nei riguardi dei minori: ne assumiamo la rappresentanza, assumiamo il loro punto di vista, portiamo in primo piano i loro bisogni, cerchiamo di lavorare per la continuità degli affetti.
I bambini non soffrono la separazione in sé, ciò che li traumatizza è il conflitto, la violenza. L’effetto devastante sul bambino si verifica laddove esista un’alta conflittualità , dove è strumentalizzato, laddove il bambino subisce la perdita di uno dei due genitori o non riesce a comprendere ciò che sta accadendo. In mediazione troviamo un modo giusto ,a seconda dell’età del bambino per far parlare i genitori con i figli di quello che sta succedendo. Aiutiamo i genitori a rassicurarli che la separazione dei loro genitori non implicherà il sacrificio degli affetti, nè la rottura dei legami.
Come interviene il mediatore nel conflitto di coppia?
Individuando e agendo sulle “posizioni” e sui veri “bisogni” di una persona. In una coppia che litiga emergono subito le posizioni, il mediatore individua dietro la rigidità di un’idea (posizione) il bisogno di ognuno dei coniugi, il sentimento che procura quella rigidità, il malessere, le ferite. Lasciamo che la coppia litighi di fronte a noi per creare quel “raffreddamento emotivo” che ci darà la possibilità di aiutarli a leggerlo meglio e a gestirlo diversamente.
In questo modo, aiutiamo i genitori a rientrare nuovamente in contatto con la capacità della propria mente di pensare a quello che sta accadendo a loro e ai propri figli.
Quando si può dire che un incontro sta funzionando?
Quando l’incontro di mediazione si sta rivelando efficace si percepisce che le due menti della coppia “pensano insieme”, si allontanano dallo schema amico-nemico, e inizia ad emergere la consapevolezza del ruolo che ognuno di loro deve svolgere nella vicenda che riguarda il piano genitoriale.
Il lavoro sul conflitto è condizione necessaria e indispensabile in mediazione familiare. Due persone che stanno attraversando una crisi coniugale, sono arrabbiate, a volte si odiano e perdono di vista i bisogni dei figli, perché vivono una situazione di angoscia legata alla separazione, è consequenziale che resta loro difficile poter lavorare su un progetto educativo per i figli che porta a distinguere la relazione di coppia da quella genitoriale.
Come viene gestito il conflitto?
In mediazione dobbiamo fare in modo che il conflitto si esprima, emerga, che i sentimenti di rabbia si affievoliscano quasi come in una “camera di decompressione”, mi piace usare questa metafora, questo perché le coppie che hanno ancora sentimenti di rabbia inespressi strumentalizza e spesso ostacola o getta discredito sull’altra figura genitoriale. Da più parti si sta facendo strada l’idea che gli eccessi di azioni giuridiche contro l’altro genitore sia la manifestazione di un disagio relazionale di uno dei due genitori, che si esprime nell’incapacità di dialogare e coordinarsi con l’altro.  Il procedimento giuridico a mio avviso impedisce l’immediatezza e favorisce la cronicizzazione di situazioni non equilibrate. Ecco che la mediazione familiare diventa anche un forte strumento di prevenzione per evitare l’alienazione genitoriale, lavorare sulla coppia elaborando il conflitto e i sentimenti di rabbia facilita il raggiungimento dell’obiettivo iniziale quello di creare una sintonia tra gli ex partners sul piano genitoriale, non più una coppia coniugale ma una coppia genitoriale.
La mediazione familiare è un grande strumento di tutela per i minori nella misura in cui offre l’opportunità alla coppia di “ammorbidire il conflitto”, di sostenere il legame di mamma e papà in nome della bi-genitorialità, ripristinare la comunicazione, favorendo la creazione di rapporti e contatti duraturi e funzionali di entrambi i genitori con i figli.
Mediare una coppia in separazione non è cosa di poco conto, è come stare in un mare in tempesta dove i naviganti hanno perso i punti di riferimento, oltre a pensare che si lavora sul “non-amore”. Credo che la dimensione affettiva spesso, sia una spinta propulsiva insieme alla passione che determina una motivazione a gestire un cambiamento e a trovare soluzioni. Far rinascere una coppia di genitori in mediazione, al termine di una relazione coniugale, dà la possibilità di far riemergere quell’amore, in un’altra dimensione relazionale, l’amore per i propri figli che nonostante tutto non deve e non finirà mai.
 
 

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