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Massimo Cacciari – Arte e Terrore – 23 febbraio 2019 ore 18 -Auditorium – Lectio Magistralis – Macro Asilo, Roma.

di Lara Ferrara
Il “bello” è sempre stato avvertito in una doppiezza radicale: attrae e spaesa, diletta e inquieta e mai così radicalmente ha svolto questa duplice prospettiva come nel contemporaneo.
Vi sono ragioni ontologiche che possano spiegarla?
Tutti ricordiamo le movimentate esperienze intellettuali e politiche attraverso cui il giovane Cacciari maturò il proprio inconfondibile stile di pensiero. Interveniva allora con stupefacente versatilità e incisività in molti campi: in filosofia, arte, letteratura, politica ed economia. Si era nei turbolenti anni Settanta, e più che alla costruzione di una filosofia Cacciari lavorava a un intrepido sfondamento dei blocchi compatti delle ortodossie attraverso una riconsiderazione delle esperienze più intriganti della modernità: la letteratura e le filosofie della crisi primonovecentesche (Musil, Hofmannsthal, Roth, Kraus, Loos, Spengler, Wittgenstein), la cultura di Weimar (in particolare Weber e Rathenau), il decisionismo di Schmitt ed Jünger, il pensiero ebraico (Rosenzweig). Un’operazione trasversale che ebbe il merito non solo di provocare scompiglio nell’autocomprensione della sinistra e di sollecitarne un rinnovamento, ma anche di riscoprire e sdoganare autori, testi e passaggi storico-concettuali dimenticati od ostracizzati. L’eclettismo delle sue ricerche non gli ha impedito peraltro di tracciare solchi profondi nel dibattito filosofico e politico. Ha lasciato il segno, per esempio, la sua individuazione e valorizzazione di quella corrente di “pensiero negativo”, antidialettico e nichilistico, che attraversa il pensiero moderno, e che nella Distruzione della ragione Lukács aveva rabbiosamente bollato come irrazionalismo. Contro l’anatema marxista, e in parte contro la cultura einaudiana allora dominante in Italia, in Krisis (1976) Cacciari riabilitava tale pensiero come espressione di un’intellettualità disincantata e come punta avanzata dell’autocoscienza borghese. E ciò gli consentiva di sfruttare per un’analisi critica del presente alcune intuizioni portanti del nichilismo europeo. Un altro solco profondo lo ha tracciato con la sua prima produzione adelphiana: Dallo Steinhof (1980), Icone della Legge(1985), L’Angelo necessario (1986). Termine di confronto è qui la modernità letteraria, filosofica, artistica e musicale, che nella baldanzosa immagine delle avanguardie appare come la definitiva liquidazione dell’antico e della tradizione. Cacciari invece ha portato alla luce le “erranti radici” del mondo moderno, le sue sfuggenze, i conflitti senza conciliazione, i sentieri interrotti, l’assenza di un nomos condiviso. Di qui l’esigenza di riattivare risorse simboliche ancora praticabili. Come quella del Politico, riconsiderata nell’importante dittico filosofico-politico adelphiano: Geofilosofia dell’Europa (1994) e L’Arcipelago (1997). Ma soprattutto quella del Sacro e del Religioso. Un’apertura che inizialmente, nel mezzo del dibattito sulla secolarizzazione, lo poneva decisamente in controtendenza. E spiazzava molti atei di principio. Dell’Inizio (1990) ha costituito la coerente e coraggiosa elaborazione speculativa di quest’apertura: Dio, il Principio, l’Assoluto, nella sua abissale ineffabilità, è qui posto di nuovo al centro della filosofia» (Franco Volpi).
• Ultimi libri pubblicati: Labirinto filosofico (2014) e Il potere che frena (2013), entrambi per Adelphi.
• Nei suoi scritti di filosofia «ama molto le maiuscole e le parole fratturate che diano il senso della profondità (tipo “de-cidere”, al posto di “decidere”)», ma «nei suoi interventi politici abbandona le abissali oscurità e diventa incisivo e caustico. Celebre la risposta a chi gli chiedeva se non avesse per caso voglia di iscriversi al Psi: “Non ne ho bisogno, sono già ricco di famiglia”» (Pietrangelo Buttafuoco).
La sua vita?
Venezia 5 giugno 1944. Nasce Massimo Cacciari,Filosofo. Politico (Pci, Ds, Margherita, Pd). Già sindaco di Venezia (dal 1993 al 2000 e di nuovo dal 2005 al 2010). Accademico.
Il padre, Pietro era un pediatra «molto popolare, molto generoso» (Alberto Sinigaglia), la madre figlia di una famiglia di artisti. Al ginnasio era il migliore. «I primi libri che mi hanno assolutamente appassionato sono stati due, sottratti alla biblioteca di casa: Il castello di Kafka e le Novelle per un anno di Luigi Pirandello. Detestavo i libri che mi davano in classe: di favole, di avventure. Mia madre me li raccontava, io ne facevo il riassunto per la maestra. Dopo dieci pagine crollavo di noia. Piuttosto, leggevo giornaletti: Topolino, Tex Willer, L’intrepido. Il castello fu un’esperienza travolgente. Proprio non riuscivo a staccarmi. E alle elementari mi misi a fare temi in quello stile, suscitando perplessità sul mio stato di salute mentale. Il maestro convocò i genitori e chiese cosa avevo in mente».
“A quattordici, quindici anni cominciai a sentire la piccola vocazione. Comperai all’usato La Volontà di potenza nella traduzione oscena dei Fratelli Bocca, che ho ancora, preziosa perché introvabile. Anche Nietzsche fu, dopo Kafka, un’altra rivelazione”.
La prima rivista che diresse, con Cesare De Michelis, fu “Angelus novus”, dal celebre titolo di Walter Benjamin: «Era il ’64, avevo vent’anni. Quell’antologia, uscita da Einaudi a cura di Sergio Solmi, fu decisiva per me. Una delle opere che hanno aperto la testa della nostra generazione. O chiusa, a seconda dei punti di vista». Toni Negri: «Incredibile vedere un giovane destreggiarsi così con Walter Benjamin quando gli intellettuali dell’epoca non sapevano nemmeno dove stesse di casa». Ancora studente collabora con i professori Carlo Diano (Letteratura e Filosofia greca), Sergio Bettini (Estetica e Storia dell’Arte), Giuseppe Mazzariol (Letteratura Artistica). Laureato nel ’67 con Dino Formaggio (tesi sulla Critica del giudizio di Immanuel Kant), di cui diventa assistente. Dal 1970 al 1971 un incarico di Letteratura artistica. Associato di Estetica nell’80 e Ordinario nell’85. Dall’amicizia con Manfredo Tafuri nascono libri dedicati alla teoria dell’architettura (scrive per Casabella e riceve una laurea honoris causa in Architettura dall’università di Genova).
Come filosofo, Cacciari prevalentemente cita o criptocita. Di solito lui cita senza precisare la fonte, nello stile del “pastiche” involontario.Le sue carte vincenti, le ragioni per cui si comprano i suoi libri senza riuscire a leggerli (nessuno è mai stato capace di recensirli), sono le carte che in Italia hanno il massimo punteggio: la politica (uno spettacolo e un vizio nazionale) e la filosofia (un ipnotico feticcio). Cacciari parla di piccola politica come se parlasse filosoficamente di una Grande politica, che nel nostro piccolo paese non c’è mai stata. Sì, va detto, qualche volta Cacciari esprime pareri politici sensati, che però avevamo già sentito parlando con il vicino di casa o con il tassista. La cosa ovvia lui non la dice come se fosse ovvia per tutti, ma come se fosse ovvia solo per lui che la dice e l’ha capita prima. Il quid che rende unica la recita del nostro uomo è questo solo tono, questo solo tema.
“Io ho capito in anticipo quello che voi non capite neppure in ritardo. Perciò che ci sto a fare io qui con voi?”.
Eppure sta lì. Non se ne va. Anzi torna. E’ sempre pronto a tornare. Basta chiamarlo …
Sabato 23 febbraio 2019 | Auditorium ore 18
#Lectio Magistralis di Massimo Cacciari | Arte e Terrore
Macro Asilo, Roma.

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