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Bernauer Straße. Al di là del Muro, verso la libertà: intervista a Alessandra De Gaetano

Cosa hanno provato i tedeschi, in quella domenica 13 agosto 1961 quando si sono svegliati e, uscendo di casa, si sono ritrovati i militari armati in strada e una barriera di filo spinato? Questa è la domanda che ha spinto Alessandra De Gaetano a recarsi più volte a Berlino a raccogliere le testimonianza di chi quel dramma l’ha vissuto sulla propria pelle.  Berlino “è una città che parla, che ti entra dentro, anche solo guardando i volti delle persone, o passandogli accanto” e Alessandra è partita da Bernauer Straße, una delle vie più emblematiche della divisione, dove il Muro correva lungo i palazzi, che erano considerati Berlino Est mentre il marciapiede adiacente era Berlino Ovest.
Cosa l’ha ispirata nella scelta di scrivere il libro?
Nel 2009 ho avuto l’opportunità di seguire le celebrazioni del ventennale della caduta del Muro, come corrispondente da Berlino della Radio Vaticana. L’impressione che ho avuto visitando i luoghi e ripercorrendo le tracce di Muro è stata molto forte: è una città che parla, che ti entra dentro, anche solo guardando i volti delle persone, o passandogli accanto. Una città che, per questo, ho trovato veramente affascinante. Una delle domande che mi facevo era: “Cosa hanno provato i tedeschi, in quella domenica 13 agosto 1961 quando si sono svegliati e, uscendo di casa, si sono ritrovati i militari armati in strada e una barriera di filo spinato? Mi sono anche chiesta come hanno fatto a sopravvivere per 28 anni in una quotidianità senza libertà. Dopo quell’esperienza, sono tornata tante volte a Berlino per ripercorrere le tracce che il Muro aveva lasciato e, inaspettatamente, è iniziato un viaggio di persone, di incontri casuali con chi ha scritto la Storia con la propria vita e sofferenza e ha ancora il desiderio di raccontarla per farne memoria.

  • Le storie e i personaggi narrati sono reali?

In Bernauer Straße Al di là del Muro i personaggi sono tutti reali, con personali microstorie che ho intrecciato con la storia con la S maiuscola. La prima che ho raccolto è una storia a me molto vicina: quella di Sabine Riess, una donna che nel 1959 decide di lasciare Berlino, due anni prima della costruzione del Muro. Si trasferisce a Roma, da alcuni parenti e si iscrive all’università, dove conosce mia madre. Diventano prima colleghe, poi amiche. Sabine ha fatto una scelta dolorosa, di lasciare sua madre e sua sorella a Berlino Est rimanendo per 28 anni la loro unica finestra sul mondo. È stata il loro osservatorio Al di là del Muro, tramite il flusso energetico di affetto e di presenza, pur nella distanza. Ogni personaggio che ho raccontato mi ha colpito per un aspetto: Sabine per il senso di libertà e la fermezza, Ewa per il coraggio, Markus per la passione, Franz per la lealtà, Ralf per la fedeltà. Credo che le vicende dei personaggi raccontati abbiano superato i confini forzati del Muro – citando l’immagine che usa Alessandro Borgogno nella prefazione – e dimostrano che l’unica via percorribile, nella storia dell’umanità intera, è quella dell’unione, del ricongiungimento e del rispetto della libertà, che rappresenta un diritto civile e inviolabile.

  • Come ha raccolto le testimonianze?

Il mio viaggio di persone è iniziato a Bernauer Straße, che ho scelto come cornice del romanzo perché credo sia una delle vie più emblematiche della divisione, dove il Muro correva lungo i palazzi, che erano considerati Berlino Est mentre il marciapiede adiacente era Berlino Ovest; per questo divenne scenario di una serie di fughe. A Bernauer Straße ho conosciuto Ingrid, che ho intervistato, mi ha raccontato la sua storia, iniziata a Bernauer Straße ed è diventata uno dei personaggi del romanzo. Nello stesso luogo, sorge il Memoriale del Muro che conserva le testimonianze registrate (in inglese-tedesco) di molte persone. Alcuni raccontavano di aver tentato le fughe calandosi dalle finestre di Bernauer Straße oppure per le vie sotterranee costruendo tunnel, altri raccontavano la propria esperienza di separazione dalla propria famiglia, dagli amici, dai fidanzati, dai figli. Inoltre, ho visitato il carcere della Stasi Berlin-Hohenschönhausen (che ai tempi del muro non esisteva sulle cartine) e ho intervistato la guida, che era un ex detenuto sopravvissuto. Mi ha condotto in tutte le celle dove sono stati rinchiusi i sospettati del regime, per mesi o anni senza processo, mi ha raccontato la violenza psicologica che subivano, i dettagli degli interrogatori, che ho descritto nel romanzo. Ho raccolto le storie di vita dei tedeschi dell’Est e dell’Ovest e le ho romanzate. Ad un certo punto, i personaggi hanno preso in mano le fila del racconto e hanno deciso il finale.

  • Perché Ewa, dopo aver aiutato un gruppo di berlinesi a fuggire a Berlino Ovest, non sceglie di fare lo stesso e riunirsi con Markus?

In questo passaggio di Bernauer Straße Al di là del Muro ho cercato di far comprendere un sentimento molto diffuso ai tempi del Muro, che le persone che ho intervistato mi hanno trasmesso: i legami con la famiglia di origine erano molto più forti di quelli affettivi. Ewa aveva timore di lasciare sua madre da sola ad Est, nella continua paura che potesse succederle qualcosa. I telefoni erano sotto controllo, la posta veniva aperta dal regime, le case delle persone erano piene di “cimici”. Sua madre ha atteso alcuni anni la pensione prima di poter essere libera di entrare e uscire liberamente dai passaggi di frontiera.

  • Cosa ha provato nel percorrere dopo venti anni i luoghi descritti nel libro?

Quando sono arrivata a Berlino nel 2009 si è svelata una grande verità su quella parte di storia che avevo letto sui libri. È come se si fosse materializzata, fatta umana, avesse preso vita dinanzi ai miei occhi. Nel 1989 quando è caduto il muro avevo solo dieci anni e ricordo le immagini televisive e Sabine che aveva telefonato a mia madre con il cuore colmo di gioia perché non avrebbe mai potuto credere che il muro sarebbe caduto. La scoperta che ho fatto nel 2009 è che le cicatrici delle persone che avevano vissuto l’efferatezza del regime sovietico in quei 28 anni di muro (quindi la separazione dai propri affetti, il dolore, la morte di persone care, il controllo da parte della Stasi, la polizia politica della Germania Est, non si erano ancora rimarginate ed io riuscivo a sentirle. La percezione che ho avuto è che il muro fosse ancora rimasto nelle teste dei berlinesi. Mi sono sentita fortunata ad aver conosciuto persone disponibili a raccontarmi la propria quotidianità fatta di sofferenza e ho sentito che fosse giusto condividerla perché rappresenta la vera Storia, quella delle persone, che nei libri di storia non si trova.

  • È rimasta in contatto con qualcuno dei personaggi?

Sono in stretto contatto con Sabine che oggi ha 83 anni ed è ritornata a Berlino da sua sorella, che ne ha 87. Di Ingrid e di suo marito ho perso un po’ le tracce, nel senso che ho scritto loro ma non ho ricevuto risposta. Vivono in Austria, mi riprometto di noleggiare un maggiolone, come quello di Sabine, e andarli a trovare tutti…magari durante le vacanze di Natale.

  •  Che città è oggi Berlino?

Negli ultimi venti-trenta anni, Berlino è diventata un polo attrattivo e culturale, soprattutto per le giovani generazioni che hanno compreso l’attualità dei temi legati al Muro, rappresentazione plastica della divisione tra Oriente e Occidente. Berlino è stato il luogo dove la riunificazione è stata più veloce. È una città sempre in movimento, in perenne ricostruzione. Credo che l’interesse sia aumentato anche in occasione del Trentennale, in cui molti riflettono su Berlino, ma anche più in generale sulla Germania. Limes, una delle più importanti riviste di geopolitica la descrive come “la decima di Beethoven”, la grande sinfonia incompiuta della geopolitica europea. Una pagina del presente storico che ancora resta da scrivere.

  • Quali sono oggi i muri che le fanno paura?

Mi preoccupo perché c’è ancora qualcuno che pensa che oggi sia giusto continuare a costruire muri. Penso ai muri del mare (la questione dei migranti) e a quelli del fuoco (dei conflitti armati). Penso al muro dell’Ungheria con la Serbia e con la Croazia. Più il mondo apre i propri confini, più si continua a voler costruire i muri, per disegnare dei confini, per allontanare le persone. È un paradosso. Il Muro di Berlino è nato per frenare l’esodo dei tedeschi da Est a Ovest, perché il regime sovietico aveva il timore di perdere professionisti ed è stato un evento storico drammatico. Sembra che la lezione di questa pagina del XX secolo non sia stata compresa. I muri di oggi sono questioni che vanno gestite, nel rispetto dei diritti. Bisogna abbattere i muri tangibili e intangibili. Credo sia per questo che molti considerano attuale il romanzo “Bernauer Straße Al di là del Muro”, perché c’è ancora bisogno di fare memoria di un’umanità ferita e sofferente che nonostante tutto non ha rinunciato al bene più prezioso: la libertà della persona, che è un diritto civile e inviolabile.
di Mario Masi
La caduta del Muro di Berlino, 1989. Foto di Livio Senigalliesi, fotogiornalista, esposte al Maxxi il 6 ottobre 2019, in occasione della Settimana tedesca in Italia “Non farmi muro”.
“Bernauer Straße Al di là del Muro”, Edizioni Progetto Cultura. Edizione Speciale per il Trentennale: 2019

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