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Contro le fake news? La dieta informatica

Spesso e volentieri corre veloce sui social media la disinformazione che spesso è divulgata da soggetti che hanno interessi specifici.
La moda delle fake news, o cosiddetta post-verità, è quindi un concetto vuoto o un non-concetto, ossia un termine linguistico che sarà anche stato “parola dell’anno 2016”, ma non per questo corrisponde a qualcosa di effettivamente esistente o di intelligibile.
Questo è un fenomeno ,direttamente correlato con la neutralità intellettuale, che provoca disorientamento e confusione negli internauti che a loro volta ne diventano le inconsapevoli vittime (ma talvolta anche carnefici).
Ed anche in questo caso emerge con forza la questione della selezione dei messaggi e degli autori responsabili della loro divulgazione.
Che le fake news siano in crescita è del tutto fisiologico, visto il numero, altrettanto elevato e crescente, di persone che hanno cominciato solo recentemente (grazie alle semplificazioni rese disponibili dai dispositivi mobili e dai social network) a consumare e a produrre (spesso distrattamente o comunque senza grande preparazione né riflessione) notevoli quantità di informazioni online, diventando al tempo stesso facili bersagli di manipolazioni e autori di un incessante flusso di commenti non particolarmente meditati, documentati e originali. Se a tale dinamica si aggiungono da una parte la deresponsabilizzazione connessa all’anonimato e alla moltiplicazione delle identità fittizie e, dall’altra, i rischi del conformismo e degli automatismi, è chiaro che gli enormi vantaggi complessivi dovuti a internet, in termini di democratizzazione dell’accesso (attivo e passivo) all’informazione, devono necessariamente pagare lo scotto di un certo aumento dell’inquinamento informativo.
Quindi per cercare di ridurre tale inquinamento della verità o per lo meno la sua incidenza nella ricerca di informazioni “di qualità”, vengono continuamente ideati e applicati numerosi metodi e strumenti, da parte di vari soggetti.
Dei veri e propri codici di autoregolamentazione dei social network, delle piattaforme per la condivisione di contenuti e dei motori di ricerca alle sanzioni comminate dallo stato ai produttori di quelle notizie che, oltre ad essere infondate, si configurano anche come reati, fino a varie iniziative di “moderazione”, di fact-checking e di debunking, passando per la progettazione e l’uso di software e algoritmi per individuare automaticamente notizie sospette da sottoporre poi eventualmente a un più sofisticato e costoso controllo umano… Ovvero la cosiddetta dieta informatica.

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