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Un fotone corre più veloce del pensiero?

Nulla nell’universo può andare più veloce della luce. Si tratta di un fondamento della fisica moderna, ma vi siete mai chiesti qual’è la velocità della psiche?
È molto difficile definire esattamente cosa sia un “pensiero”. Ogni processo mentale che ad oggi siamo in grado di tracciare è mediato da una serie di impulsi elettrici che si propagano nel cervello, oltre che da vari processi chimici. Tra questi processi mediatori, il più veloce che conosciamo è il passaggio di impulso elettrico in un tipo particolare di neurone motorio, la cui velocità è stata misurata essere circa 120 m/s. Ovvero più di un milione di volte più lento della velocità della luce. Dunque, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, non è possibile affermare che il “pensiero” si muova più rapidamente di un fascio luminoso.
Il concetto di entanglement, o correlazione quantistica, fu introdotto nel 1935 dal fisico austriaco Erwin Schrödinger per descrivere una situazione davvero particolare.
Per capire qualcosa sul concetto di entanglement, consideriamo due particelle che abbiano interagito in qualche modo l’una con l’altra. Supponiamo, per esempio, che si siano scontrate, come due palle da biliardo, per poi allontanarsi. Nella fisica classica (la fisica, diciamo, “tradizionale”), se una palla si muove verso destra, l’altra va a sinistra. Inoltre, se conosciamo la velocità della palla in movimento, in che modo essa ha colpito la palla a riposo, e anche la velocità e la direzione in cui si muove la palla colpita dopo l’urto, possiamo calcolare esattamente dove quest’ultima andrà a finire. In pratica, si tratta del piccolo esercizio che un buon giocatore di biliardo fa ogni volta che colpisce una palla con la stecca.
Le palle da biliardo quantistiche si comportano in maniera molto più insolita; anche loro si allontanano dopo l’urto, ma con alcune strane e davvero interessanti differenze rispetto al caso classico. Anzitutto nessuna delle due palle ha una velocità ben definita, e non si muove neppure in una direzione specifica. In realtà, pur allontanandosi l’una dall’altra, dopo la collisione le due palle non hanno proprio una velocità o una direzione del moto assegnate.
Il fulcro della questione è che, non appena osserviamo una delle palle da biliardo quantistiche, essa istantaneamente assume una certa velocità e si muove lungo una certa direzione, allontanandosi dal punto dell’impatto. In quel preciso istante, ma non prima, l’altra palla assume la velocità e la direzione corrispondenti; questo avviene a prescindere da quanto le due palle siano distanti in quel momento.
Quindi, le palle da biliardo quantistiche sono entangled, sono gemellate quantisticamente. Ovviamente non è possibile osservare questo tipo di fenomeno usando palle da biliardo vere e proprie, tuttavia è qualcosa di perfettamente normale per le particelle elementari. Due particelle che collidono rimangono intimamente connesse anche a grandi distanze; è il vero e proprio atto di osservare una delle due particelle che influenza istantaneamente l’altra, non importa quanto lontano questa sia andata.
Ad esempio il fotone è il “quanto” associato a un’onda elettromagnetica. Si tratta di una particella neutra che si muove nel vuoto alla velocità della luce, in quanto energia raggiante, si trasmette passando per onde elettromagnetiche, ovvero onde provenienti da un campo elettrico e onde provenienti da un campo magnetico perpendicolari tra loro e anche rispetto alla direzione in cui si propagano; tali campi cambiano a seconda della frequenza relativa all’energia raggiante che si sta considerando.
Il primo a parlare di “quanti” fu Max Planck all’inizio del ventesimo secolo, il quale ritenne indispensabile qualificare gli effetti delle radiazioni, quindi anche lo scambio di energia delle particelle come se fossero portati da altre particelle. Fu Einstein nel 1905 a supporre che corpuscoli elementari componessero la luce e proprio questi erano i fotoni, che toccando gli atomi trasmettevano agli elettroni più esterni energia: il termine fotone fu coniato nel 1926 da Gilbert Newton Lewis, chimico statunitense.
Poi c’è chi sostiene che “un corpo che non possiede massa” potrebbe teoricamente battere la luce in una gara di corsa (è falso: una particella senza massa, come lo è il fotone, va proprio alla velocità della luce). Oppure chi crede che “siccome non si può ipotecare il futuro”, allora magari un giorno “si scoprirà che esiste qualcosa di più veloce della luce” (può darsi, e i fisici teorici avranno allora del bel lavoro per trovare una nuova teoria che descriva il perché). A incuriosirci, però, è stata in particolare l’idea proposta da qualcuno secondo cui a battere ogni record di rapidità non siano tanto i fotoni, quanto il pensiero e i processi della psiche.

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