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Nasce la community Terapeuti Milleriani

Dall’inziativa di un gruppo di cinque donne di estrazioni professionali diverse nasce Terapeuti Milleriani. L’obiettivo è quello di formare una rete di esperti (psicologi, psicoterapeuti, educatori, psicopedagogisti, insegnanti, caregiver, etc) che possano confrontarsi e crescere umanamente e professionalmente attraverso lo scambio di concetti emotivi profondi, attraverso l’ attività di supervisione per i neolaureti e i neospecializzati, attraverso il passaggio di conoscenze tecniche e pratiche fra professionisti.
Il collante del gruppo di professionisti è l’applicazione della teoria milleriana, sia nella propria vita personale e, soprattutto, nei riguardi dei pazienti che si rivolgono ad essi. Alice Miller sostiene che lo psicoterapeuta deve fare i conti con il bambino che è stato e che proprio durante la sua infanzia si è costruito il percorso che poi lo ha condotto, da adulto, a scegliere questa professione.
E’ assodato che quanto meglio lo psicoterapeuta si orienta nella propria storia personale, tanto meglio potrà smascherare le manipolazioni, che, a causa di problemi infantili irrisolti, possono essere messe in atto anche dagli stessi terapeuti e che non consentirebbero la crescita personale del paziente. Noemi Zenzale, Marta Petrucci, Germana Verganti, Annarita Bavaro, Marco Puricelli, Cinzia Di Fiore, Marta Petrucci, Alessandro Costantini e Paolo Molino spiegano: “Lo psicoterapeuta deve essere un testimone compassionevole e un avvocato difensore del proprio paziente, esattamente come Alice Miller ha descritto in tutti i suoi libri.
Lo psicoterapeuta, dunque, non può essere neutrale: egli partecipa emotivamente in modo autentico alla rielaborazione della vicenda personale del paziente. Si può indignare ed anche commuovere, ma mantenendo comunque la forza mentale di tenere sempre presente il campo emotivo e relazionale che si crea nella relazione psicoterapeutica e di orientare conseguentemente la rotta verso la consapevolezza e verso il confronto con la realtà.
Riteniamo che ogni terapeuta per svolgere il suo ruolo di testimone della sofferenza del paziente deve essere in grado di sopportare la paura, avendola vissuta ed elaborata a fondo nella propria storia personale, in modo tale da non esserne spaventato. Siamo convinte, come psicologhe e psicoterapeute, che l’aiutare una persona nasca da una identificazione empatica con le vicende traumatiche della persona stessa, ovvero dalla capacità di guardare il mondo con gli occhi e con la mente del paziente quando egli era bambino o adolescente. ” “Sintomi come depressione, angoscia, ansia, panico, ossessioni, senso di vuoto, atti impulsivi auto- ed etero-lesionisti, dipendenze, desiderio di morte, euforia, ritiro sociale, onnipotenza, maniacalita’, mancanza di empatia, persino la stanchezza psicofisica cronica non collegata ad evidenze mediche NON SONO ALTRO che REAZIONI sintomatologiche (ossia sintomi “falsi” che nascondono ciò che realmente ‘dovremmo’ consentirci di SENTIRE per superare l’impasse) a sentimenti di RABBIA ed ODIO, CONGELATI, ANESTETIZZATI nei confronti di chi avrebbe dovuto avere il piacere e la responsabilità di ‘riconoscerci’, amarci, donare e ACCETTARCI senza giudicare, aggredire, minacciare, manipolare, mentire e trascurare.
Alice Miller ha sviluppato un concetto di terapia che propone alle persone sofferenti di stare di fronte al loro passato, riconoscere e perciò ridurre l’angoscia ancora inconscia, ma altamente attiva, del bambino un tempo picchiato/ maltrattato/ non riconosciuto/ rifiutato etc..
La violenza, nell’infanzia, c’è anche dove pare che non ve ne sia. La situazione del bambino è tale, nella nostra società, da farne una vittima.
Ecco un bambino: è la gioia dei genitori, sembra circondato di amore, ovunque vada c’è intorno qualcuno a fargli le coccole, a parlargli con voce melliflua. Ma che succede se quel bambino non si comporta come gli altri si aspettano? Che succede se segue i propri bisogni, e non quelli dei genitori? Succede che il bambino diventa cattivo.
Egli finirà in questo modo per adeguarsi alle esigenze dei genitori, mettendo da parte le proprie. Diventa come i genitori vogliono che sia, rinunciando ai propri bisogni più autentici e dipendendo interamente dal riconoscimento dei genitori. È questa l’alienazione del bambino. Egli non è sé stesso, ma è come i genitori vogliono che sia: sviluppa un falso Sé. È così che il dramma infantile condiziona l’intera esistenza. L’adulto vivrà in questa stessa alienazione, con questo stesso falso Sé, fino a quando non riuscirà a trovare la via d’accesso alla sua infanzia.
Quando riusciamo finalmente a sentire la nostra giustificata, rabbiosa indignazione, invece di rifiutarla, possiamo crescere completamente e divenire autonomi.
È questa paura infantile verso i genitori onnipotenti che spinge gli adulti a maltrattare i propri figli, come pure a vivere con gravi “infermità” piuttosto che prendere sul serio le crudeltà un tempo sopportate. Innumerevoli proposte esoteriche e “spirituali”, che promettono una guarigione, contribuiscono a nascondere i terrori vissuti durante l’infanzia.
Alice Miller pensa che, malgrado gli aspetti tragici della sua scoperta, essa può condurre a tante alternative positive e ottimistiche, perché apre la porta alla consapevolezza, alla percezione della realtà del bambino e nello stesso tempo alla liberazione dell’adulto dalla sua paura infantile e dai suoi effetti distruttivi.
di Mario Masi

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