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E se Vincenzo Muccioli fosse semplicemente un uomo?

Accade in un clima disorientato da virus e restrizioni, da vaccinazioni e panettoni, di imbattersi in una piacevole riscoperta, quella di una figura scomoda, eppure essenziale per la nostra Italia pre2000, quella di Vincenzo Muccioli.
Il “creatore” della comunità per tossicodipendenti di San Patrignano. Netflix docet; riporta alla ribalta questa realtà attraverso il docuserie “SanPa: luci e tenebre di San Patrignano”.
Si scatena un polverone mediatico di ampie proporzioni.
Scendono in campo molti: istrionici personaggi vicini e/o lontani, amici e nemici, e la comunità stessa, che ufficialmente si dissocia dal lavoro appena messo in onda.
Vincenzo Muccioli un santone, un padre, un padrone, un salvatore, un sadico, un accentratore di potere, un santo, un rivoluzionario, un assassino, un ladro, un sognatore, un imprenditore, un politico fascista? Quanti contrasti, quante possibili declinazioni del male o del bene?
E se Vincenzo Muccioli fosse semplicemente un uomo?
Sì, perché quello che spesso si dimentica, quando si giudica qualcuno, è che alla base nessuno di noi sfugge alla natura umana.
E un uomo compie un percorso di nascita, vita e morte. L’uomo Vincenzo è nato a Rimini nel 1934 ed è morto a Coriano nel 1995. Aveva 61 anni.
Nel 1978 la prima pietra di quella che diventerà la più grande comunità d’Europa per tossicodipendenti, ma è negli anni ‘80 che SanPa comincia a decollare come un vero e proprio ecosistema per coloro che vengono considerati da tutti, i derelitti di una società: “i drogati”.
Chi sono i drogati?
Per noi nati alla fine degli anni Settanta, sono quelli che si bucano, che si trascinano nella penombra di una città come cadaveri ambulanti, che gettano le siringhe nei parchi e, se sei sfigato te li ritrovi con le loro occhiaie davanti gli occhi, intimandoti con l’ago infetto. HIV – AIDS sono l’ombra della morte e rappresentavano in quegli anni, un immaginario da brividi. La piaga della società erano i drogati; alieni: nati chissà da dove ed era necessario spazzarli via.
“Sembri un drogato!” Era l’insulto più offensivo di quegli anni, in cui bastava avere un orecchino di troppo, un tatuaggio in più o semplicemente essere “secchi” o pallidi per essere stigmatizzati.
In questa realtà si struttura l’intuizione, il buon senso, l’umanità di Vincenzo Muccioli. Un omone dall’aria contadina, ma con uno sguardo fermo e carico di espressività. È stato il primo uomo forse, che ha ascoltato un drogato, senza disprezzarlo, ma con il desiderio di spezzare la tossicodipendenza che lo aveva divorato. In un momento in cui la disperazione di genitori e d’intere famiglie devastate dalla piaga della droga, faceva sì che mamme d’Italia si ritrovassero per la prima volta a ripudiare figli, ecco che la comunità di San Patrignano li raccoglie e li accoglie, ma soprattutto li ascolta.
Si stabilisce un vero e proprio patto. “Io ti aiuto se tu lasci la droga. Ti offro una casa, un pasto caldo e t’insegno un lavoro. Fidati di me qualsiasi cosa succeda e fidati di chi prima di te è entrato in questa comunità”.
Nessuno psicologo all’epoca era formato per tutto questo; nessuno Stato era capace di interpretare meglio di quel modus operandi, le necessità di una persona che magari fino a qualche giorno prima aveva compiuto gesti violenti e criminali, aveva contratto l’HIV e non si aspettava nulla dalla vita se non il suo disfacimento. La Comunità cambiò il corso dell’esistenza di molti. Famiglie disperate riabbracciarono dopo tempo i figli ripudiati.
Vissero allora tutti felici e contenti?
No; come tutto ciò che viene organizzato in modo artigianale, quando cresce fino a contenere migliaia di persone, non è facile gestire il tutto; inoltre le crisi d’astinenza erano un’eco sempre più vibrante è insopportabile dentro un luogo ormai gigante e affollato in cui non c’era più una famiglia, ma una vera e propria micro società di persone non facili né felici.
Avete mai assistito a una crisi d’astinenza da eroina? Tutto assomiglia a una autentica possessione in cui non c’è segno della croce che tenga. Immaginate magari 300 crisi in quasi simultanea di altrettante persone rinchiuse in una comunità. Furono usate le catene e vere e proprie celle di sicurezza, per evitare fughe e autodistruzione nella comunità.
Una comunità che ai suoi margini aveva stipati tossicodipendenti in attesa di un posto libero per entrare, cittadini della zona che reclamavano l’aumento esponenziale di furti, violenze e criminalità; la politica che aveva affilato i suoi denti, la comunità scientifica che non vedeva di buon occhio una struttura di fatto anche medica, diretta da persone lontane dal campo della ricerca.
Oggi è più facile rispondere con le terapie mediche, ma in quegli anni c’era ancora una lotta ottusa e intestina fra psicofarmaci e psicoterapia, fra scienza e spirito.
Per capire il contesto in cui viviamo, risulterà più facile se analizzassimo umanamente la situazione storica ed emotiva di quegli anni, ancora senza social e poche connessioni e la ricongiungessimo con il disastro del terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980: ci potremo rendere conto quante dimensioni umane si assomiglino…
I media, lo Stato, non si accorsero del dramma in essere, i soccorsi arrivarono disorganizzati e con estremo ritardo. Stessa cosa con il recupero dei tossicodipendenti… Furono lasciati entrambi sotto le macerie, gli uni delle proprie case, gli altri degli effetti della droga.; Intere famiglie furono spezzate dalla tragedia e lasciate sole nel dramma, in entrambi i casi. Furono i comuni essere umani di buona volontà, a scavare per primi fra resti di intere città; stessa cosa accadde con Vincenzo e la sua comunità: furono i primi a sporcarsi le mani e salvare molti drogati da morte certa.
Chi fu allora Vincenzo Muccioli?
Un uomo, di buona volontà. Tutto il resto è eccessivo, fazioso e ridondante.
di Niccolò Carosi

 

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