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Penicillina: l'italiano Vincenzo Tiberio il vero inventore

Di Valentino Salvatore
Secondo la vulgata corrente, nel 1928 lo scienziato Alexander Fleming scoprì grazie ad un colpo di fortuna le applicazioni mediche della penicillina. Prendendosi una piccola vacanza, aveva dimenticato nel suo laboratorio del St. Mary’s Hospital di Londra alcune colture del batterio Staphilococcus aureus. Si era accorto tornando che su una piastra di Petri era cresciuta una colonia di muffe, dove però non si era sviluppata la coltura batterica. La muffa in questione era Penicillium notatum, da cui appunto deriva il nome “penicillina”. Ma le leggende cresciute intorno a questo caso di serendipity fanno riferimento anche a muffe provenienti da un’ananas andato a male o che arrivavano in un laboratorio contiguo, dove si facevano altre ricerche. Fleming pubblicò nel 1934 le sue ricerche sul British Journal of Experimental Pathology. Riuscì poi a continuare le sue ricerche grazie ai finanziamenti della Fondazione Rockfeller, ma ci vollero una decina d’anni prima che altri due scienziati, Ernst Boris Chain e Howard Florey, ottenessero dei risultati concreti. La penicillina risultò fondamentale come antibiotico, salvando la vita a un numero incalcolabile di persone. Utilizzato massicciamente dalle truppe anglo-americane durante la seconda guerra mondiale, si sarebbe poi diffuso ovunque.
La storia però potrebbe essere un’altra, sebbene meno affascinante. Lo scettro dello scopritore del pennicillina potrebbe infatti
Vincenzo Tiberio

passare ad un italiano, Vincenzo Tiberio. Nato in quel di Sepino, paesino in provincia di Campobasso, questo giovane medico formatosi all’Università di Napoli scoprì le applicazioni di queste muffe una trentina d’anni prima di Fleming. Nel 1895 scrisse infatti un resoconto dei suoi studi, intitolato Sugli estratti di alcune muffe. In queste ricerche, pubblicate per gli Annali di Igiene Sperimentale della Regia Università di Napoli, aveva notato le caratteristiche chemiotattiche degli estratti di certe muffe nelle infezioni da colera e tifo. Figlio di un notaio, cresciuto in un ambiente di provincia ma ricco di stimoli, sviluppò un notevole interesse per la scienza. Cominciò ad approfondire la questione già negli anni dell’università. Dopo il liceo, venne mandato a studiare presso la Facoltà di Medicina a Napoli, stabilendosi dagli zii in quel di Arzano. Prima intuì che i disturbi di cui soffrivano i suoi vicini nel paese partenopeo erano legati alla disinfezione del pozzo, da cui prendevano l’acqua. Infatti quando il pozzo veniva ripulito dalle muffe, i vicini si sentivano male. Mentre invece ricrescevano sui bordi del pozzo, l’acqua non dava problemi. Da lì partirono i suoi studi, con annessi esperimenti, finché non ne scoprì il potere antibatterico. Ricerche però finite nel dimenticatoio, come quelle di Ernest Duchesne, che nel 1897 studiò nella sua tesi di laurea le interazioni tra il batterio Escherichia coli e il fungo Penicillium glaucum. Nel 1945 venne assegnato il Nobel allo stesso Fleming, Howard Florey ed Ernst Boris Chain, gli scienziati che studiando le colture di muffe erano riusciti a sintetizzare la penicillina. Gli studi di Tiberio, che aveva anticipato Fleming e compagnia, vennero riscoperti un paio di anni dopo da Giuseppe Pezzi, un ufficiale medico di marina. Quindi le carte, dimenticate negli archivi, vennero ristampate dallo stesso Istituto d’Igiene.
Una figura, quella di Vincenzo Tiberio, che oggi attira sempre più l’attenzione del mondo scientifico italiano. Il medico romano Giulio Capone, nipote di Vincenzo Tiberio, descrive il lavoro del nonno come «semplice, chiaro, di gran rigore scientifico e tutto è rimasto nascosto». E, non avendo conosciuto Tiberio, riporta i racconti e i documenti custoditi della moglie, la nonna Amalia. Nelle carte dello scienziato, morto nel 1915 per una febbre, si trovano molte informazioni avanzate per l’epoca. Descrizioni dettagliate sulla crescita e l’estrazione delle colture di muffa, sulla loro capacità antibatterica e chemiotattica, anche con l’utilizzo di cavie. Studi che però incontrarono la diffidenza degli accademici, che non presero in considerazione la portata rivoluzionaria delle scoperte di Tiberio, derubricate a coincidenze casuali. Vista la freddezza del mondo universitario, abbandonò deluso l’Istituto d’Igiene e si arruolò nella Marina.
Nonostante le intuizioni, sarebbe stato oggetto di una specie di congiura del silenzio. Persino un busto commemorativo a lui dedicato è stato rimosso dalla torre nella piazza di Sepino. Ma ora il comune rispolvera Tiberio. E’ stato collocata sulla facciata della sua casa natale una targa che recita «Primo nella scienza, postumo nella fama». Anche il Cnr rivaluta lo scienziato, con tanto di documentario: Vincenzo Tiberio. Il vero papà della penicillina. Ci sarebbe stata anche la parziale ammissione dal trio Fleming-Florey-Chain, dell’importanza dei lavori di Tiberio. In una intervista, Ernst Chain avrebbe dichiarato che Alexander Fleming conosceva gli studi del medico molisano. Ma che questi non l’ha mai detto apertamente.

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