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#allenamentoallafelicita: numero1

"Ragazzi, io lo so, è dura, ma le coppe si vincono in allenamento, in gara si vanno solo a ritirare"

Non tutti i maestri si amano a primo acchito. Io, uno dei miei, l’ho odiato profondamente.

Nervoso, scattante, un numero imprecisato ma tendente all’infinito di caffè, la parlantina a mitraglia.

Disturbante.

Si, disturbante.

Continuavo a dire “vabbè ma questo è pazzo” caricando la parola di altre consonanti e di ogni più bieco significato.

Una didascalia di puro disprezzo.

Poi un giorno, poiché il maestro è anche – e principalmente- uno sportivo, disse “ragazzi, io lo so, è dura, ma le coppe si vincono in allenamento, in gara si vanno solo a ritirare“.

E dopo l’ennesimo “meglio sanguinare qui che altrove” ho finalmente compreso che lo odiavo perché ero ripiegata sui miei limiti, che lui colpiva con precisione chirurgica nel pieno di un apparente bombardamento.

Così ho alzato lo sguardo e visto la sua enorme passione, il suo darsi senza risparmio, il suo narcisismo – e vivaddio, non è sempre un male- che spostava su di noi, come creature sue, “è bello vedervi fiorire“.

Allora ho iniziato ad amarlo, e a sentirmi anche un po’ la responsabilità del progetto condiviso, che è una cosa bellissima e insieme pesantissima, perché quando fai questo switch non devi più solo a te stessa, ma anche a chi ce la mette tutta e lavora insieme a te.

Sono passata perciò dal fare gli esercizi, a fare “allenamento“.

È un rincaro di volontà, che non prevede posizioni terze, più comode, più distanti, con la via di fuga a portata di mano.

Allora ho pensato che anche la felicità è frutto di allenamento, più che di esercizio.

Perché l’allenamento contiene in sé una nota di fatica e di impegno che l’esercizio non ha.

Beninteso, la felicità ti càpita.

Mica la programmi.

Solo che devi essere preparato, devi avere gambe veloci, nervi tesi, muscoli pronti, nessuna mollezza nel rimpallare al destino. Devi essere allenato, insomma, a riconoscerla prima di tutto, la felicità, e poi ad avere la ferocia giusta per prendertela e portartela via.

Come a rubabandiera.

Prendi e scappa.

Dai giudizi, dalle mancate legittimazioni, dai sensi di colpa o di convenienza.

Accettare il rischio che sia persino sconveniente, e fregartene.

E poi portarla al riparo, che è fare tana e insieme custodirla per consolidarsi.

Perciò, nel frattempo, il mio allenamento sarà attivare lo sguardo, mantenere la connessione tra mente e cuore, aggiustare di sale con la gratitudine.

Ora, io non so quando capiterà di nuovo.

Quello che so, però, è che quando arriverà sarò pronta a riconoscerla, e che sia una gara o meno, che dovrò afferrare o poi proteggere, la prima cosa che farò è mettere le mani a coppa ed essere pronta a ritirare il mio premio tutto d’un sorso.

di Lidia MondaLidia Monda

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Foto di Free-Photos da Pixabay

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