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Facciamo conoscenza con l’Alzheimer

di Rita Angelini e Mario Masi

Cos’è l’Alzheimer

La Malattia di Alzheimer è la principale causa di demenza.
La patologia è stata descritta per la prima volta nel 1907 da Alois Alzheimer, dal quale prende il nome.

Il neurologo tedesco notò che il tessuto cerebrale dei soggetti osservati
presentava una riduzione delle cellule nervose e placche senili visibile a occhi nudo.
Successivamente, grazie all’utilizzo di microscopi con colorazioni chimiche, si è evidenziata la presenza, su porzioni predefinita del cervello, di placche aminoidi e ammassi neuro fibrillari.

Si tratta di proteine che interferiscono con il funzionamento del cervello provocando la distruzione graduale dei neuroni e di conseguenza il deterioramento irreversibile di tutte le funzioni cognitive superiori come la memoria, il ragionamento e il linguaggio fino
a compromettere l’autonomia funzionale e la capacità di compiere le normali attività quotidiane.

Determina inoltre alterazioni della personalità, che creano al malato problemi
di relazione e comportamentali.

Quanti ne soffrono

La Malattia di Alzheimer è la causa più comune di demenza nella popolazione anziana che vive nei paesi occidentali e rappresenta circa il 60% dei casi. Di questi, circa la metà è dovuta esclusivamente all’Alzheimer, l’altra metà è costituita da forme miste di demenza, dovute alla combinazione di Alzheimer e alterazioni di tipo cerebrovascolare.
In Italia sono circa un milione le persone con demenza, di cui 600mila quelle affette da Alzheimer.
Secondo il World Alzheimer Report 2015, 48,6 milioni di persone nel mondo convivono con una forma di demenza.
Questa cifra è destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni, raggiungendo 74,7 milioni di persone nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050.

La prevalenza di demenza nella popolazione di età superiore ai 60 anni varia dal 4,6% dei paesi dell’Europa Centrale all’8,7% del Nord Africa e Medio Oriente;
in tutte le altre aree del Pianeta la prevalenza si attesta tra il 5,6% e il 7,6%.

Cosa avviene nel cervello dei malati di Alzheimer

L’esordio è generalmente insidioso e graduale, il decorso è lento con una durata media di 8/10 anni dalla comparsa dei sintomi.
Nella prima fase della malattia è interessata la zona dell’ippocampo con la perdita della capacità di creare nuovi ricordi, poi si passa alla parte frontale con l’incapacità di
ragionare: la demenza.

In seguito viene alterata la parte del cervello collegata alle emozioni e il paziente presenta cambi improvvisi di umore. Quando viene colpita la parte superiore del cervello iniziano le allucinazioni e attacchi di paranoia. Con la distruzione della parte posteriore vengono cancellati i ricordi a lungo termine; infine viene compromessa la parte cerebrale che controlla la respirazione e altre funzione vitali provocando la morte del paziente.

Le cause

A determinare questa più marcata atrofia cerebrale è l’accumulo nel cervello di quantità anomale di due sostanze: la Beta amiloide e la proteina Tau. La Beta amiloide si
concentra in forma di placche all’esterno dei neuroni; i frammenti di questa sostanza nei cervelli normali sono eliminati, mentre in quelli colpiti dall’Alzheimer, per ragioni
ancora sconosciute, si accumulano, formando placche dure insolubili. La proteina Tau si trova in forma di grovigli neuro–fibrillari dentro il neurone.

I danni che queste sostanze causano sono importanti perché colpiscono una cellula fondamentale del sistema nervoso centrale, il neurone, i cui processi costituiscono
la base di tutte le funzioni svolte dal sistema nervoso e dal cervello, incluse quelle che regolano la vita emotiva e i pensieri. Le placche amiloidi interferiscono con la trasmissione del segnale nervoso da neurone e neurone e rendono sempre più difficoltoso il passaggio delle informazioni.

I grovigli neuro–fibrillari impediscono il trasporto delle sostanze nutrienti e di altre molecole essenziali al funzionamento del neurone.

Le diverse forme di Alzheimer

In rari casi l’Alzheimer è ereditario. La forma più diffusa è quella sporadica, che si manifesta dopo i 65 anni, colpisce di solito un solo membro della famiglia e non è ereditaria.
C’è poi la forma detta familiare, in cui la malattia si manifesta in 3 o più persone della stessa famiglia; può essere tardiva, quando si manifesta dopo i 65 anni, o precoce, se
insorge prima dei 65 anni.

La causa

Per la maggior parte dei casi di Alzheimer è ancora sconosciuta ad eccezione per alcuni casi in cui è stata individuata una ereditabilità genetica della malattia. Da una ricerca svolta dalla Rush University negli USA, pubblicate sulla rivista Neurology, è emerso una associazione tra la
depressione e l’Alzheimer.

Lo studi condotto dal dott. Robert S. Wilson, neuropsichiatra presso l’“Alzheimer Disease Center” ha affermato che la depressione è veramente un fattore di rischio per la
demenza, per cui se si è in grado di individuare e prevenire la depressione e le cause di stress si può avere il potenziale per aiutare le persone a mantenere la loro capacità di
pensiero e la memoria in età avanzata.

Come si manifesta

L’Alzheimer comincia in maniera subdola, chi ne è colpito riesce all’inizio a nascondere i sintomi, motivo per cui spesso familiari e conoscenti non la individuano subito.

La memoria

Il segno iniziale più comune dell’Alzheimer è il graduale peggioramento della capacità di ricordare nuove informazioni, perché i primi neuroni colpiti sono quelli delle aree
cerebrali deputate alla formazione di nuovi ricordi. Nella fase iniziale, i malati non hanno difficoltà a ricordare eventi del passato, ma dimenticano avvenimenti accaduti anche
solo qualche minuto prima e hanno difficoltà ad apprendere nuove informazioni.

Quella che viene persa prima è, dunque, la memoria a breve termine. Nella fase iniziale
parenti e amici tendono a considerare queste dimenticanze normali e legate all’età. I malati di Alzheimer tendono a scordare più del solito alcune cose, come appuntamenti
o pagamenti di bollette. La difficoltà ad organizzare nuove informazioni interferisce anche con la capacità di gestire nuove attività e situazioni.

Con il progredire della malattia, il disturbo di memoria diventa più grave: il malato pone sempre più spesso le stesse domande e si assiste alla perdita dei ricordi più remoti,
compresi quelli dell’infanzia.

L’orientamento spazio temporale

I malati di Alzheimer col progredire della patologia manifestano difficoltà crescenti nell’orientamento spazio– temporale: tendono a perdersi in luoghi noti come le strade
vicino a casa e, negli stadi più avanzati, anche nella propria abitazione. Per quanto riguarda la dimensione temporale, mostrano difficoltà crescenti a dire in quale anno, mese
e giorno della settimana sono e a distinguere le stagioni.
Le conseguenze del disorientamento spaziale cui vanno incontro i malati di Alzheimer ha significative ripercussioni sulla loro vita quotidiana, ma soprattutto di chi se
ne prende cura: il malato può infatti allontanarsi da casa, perdersi e non riuscire più a tornarvi.

Il linguaggio

Nelle fasi iniziali della Malattia di Alzheimer i disturbi del linguaggio possono non essere evidenti se non vengono indagati con test specifici. Si possono osservare soprattutto
anomie: il malato può, cioè, non ricordare il termine che voleva utilizzare (anomia) e sostituirlo con giri di parole e circonlocuzioni. Può accadere anche che chiami un oggetto con il nome di uno affine o che sostituisca una parola con un’altra di significato diverso ma della stessa famiglia, ad esempio “ora” invece di “orologio”.

Può inoltre usare una parola sbagliata ma dal suono simile a quella giusta: “zuccotto” al posto di “cappotto”. Con l’avanzare della malattia, si assisterà sempre di più alla tendenza a chiamare tutti gli oggetti con termini generici quali “coso”, “cosa”.
Dura più a lungo, invece, la capacità di capire gli aspetti non verbali del linguaggio (tono, gesti, sguardo. . . ) e questo aiuta il malato a mantenere una qualche comunicazione con le altre persone.

La perdita di autonomia nella vita quotidiana

Con il progredire delle difficoltà cognitive, dei problemi comportamentali e dell’umore, si assiste a un deterioramento sempre più significativo dell’autonomia nella vita
quotidiana, lavorativa e sociale. Inizialmente si osservano difficoltà nel programmare e svolgere attività sul posto di lavoro e nel tempo libero, poi difficoltà a effettuare azioni
complesse, come guidare l’auto, gestire i soldi e, infine, a prendersi cura della propria persona.

Nella fase avanzata il malato non sa farlo o non ricorda di lavarsi e di vestirsi,
non è in grado di riconoscere i sintomi fisiologici e va incontro a incontinenza, non sa cucinare e alimentarsi in modo adeguato.

Esistono fattori predittivi accertati della malattia?

Ci sono delle forme ereditarie di demenza in cui il deficit genetico — quando presente — prevede con altissima sensibilità e specificità che il soggetto si ammalerà. Tuttavia,
queste forme sono una fetta molto piccola dell’insieme (in genere non superiore al 5% del totale delle demenze.

Se invece ci si chiede se oggi sia possibile prevedere con i mezzi diagnostici a disposizione se un soggetto verrà o meno colpito dalla forma “sporadica” (un termine che
paradossalmente identifica la stragrande maggioranza dei pazienti) di malattia allora la risposta è parzialmente positiva.

Tramite l’esecuzione di test strumentali che includono la Risonanza Magnetica con la misurazione dei volumi delle aree a rischio del cervello, la PET o SPET che misura
il flusso ematico ed il metabolismo dei vari settori cerebrali (inoltre la PET con la somministrazione di sostanze radioattive — radioligandi — che si legano alla beta ami-
loide può fornire una fotografia afffidabile della presenza di beta–amiloide), della puntura lombare che effettua il dosaggio dei metaboliti delle due proteine principalmente
implicate nell’Alzheimer (beta amiloide e Tau), dell’elettroencefalogramma che — tramite analisi computerizzate molto avanzate — misura i ritmi dell’attività elettrica cerebrale e quanto questi contribuiscono a connettere tra di loro le diverse aree del cervello, il dosaggio della quota di rame libero circolante nel sangue, si riesce a prevedere con un errore massimo intorno al 5% chi si ammalerà entro i successivi 5 anni

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Tratto da: Io ci sono:Alzheimer senza paura – di Rita Angelini e Mario Masi – Edizioni Aracne

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