di Mario Masi
Diana Tejera è una cantautrice autentica. E’ l’erede naturale dei Bennato, Vecchioni, De Gregori. La sua è musica autentica, sofisticata, frutto di studio e passione. Sulle note di copertina del suo cd “La mia versione” Diana ringrazia le sue canzoni “disorientate dalle mia inquietudine…il mio primo grazie va a loro per aver sopportato i continui e minuziosi ritocchi, le offese nei giorni no, per aver mantenuto sempre una dignità anche quando le abbandonavo e le dimenticavo per poi riprenderle e riscoprirle”. ‘La mia versione‘ è un album che va ascoltato più volte, perché ad ogni ascolto è possibile cogliere una nuova sfumatura, nuovi colori, la bellezza dei testi e degli arrangiamenti che danno vita ad un rock sofisticato e sensuale. Un consiglio su tutti: la versione cantata da Diana di ‘Scivoli di nuovo‘, da lei scritta con Tiziano Ferro, incantevole e ipnotica, tonificata da una provocante energia. Abbiamo chiesto a Diana di raccontarci il suo mondo.
Che rapporto hai con le tue composizioni?
Bè sicuramente un po’ conflittuale…anche se sto cercando di essere più leggera e autoironica.. quindi meno severa con me stessa. Forse in questo disco (avendo avuto una gestazione lunga e travagliata) mi sono trovata a soffermarmi più volte sulle stesse canzoni e questo ha fatto sì che io a tratti decidessi di rivederle, a volte di abbandonarle e poi di riprenderle.. insomma sono state schiave, appunto, delle mie inquietudini e dei miei perfezionismi.
In ‘Ma una vita no’ canti: “Non voglio storie a perdere, ora mi vesto e poi rinasco senza te, di fiori amari senza colori, posso riempire casa ma la vita no”. Perché l’amore non amato ispira tante belle canzoni?
Perchè fa riflettere di più, forse. Anche se in questo caso non si trattava proprio di amore non amato, ma di amore non accontentato: essendo un amore per lo più sofferente, ho espresso il bisogno di una liberazione. E comunque, quando l’amore è sereno, certamente si è meno tormentati e quindi forse più impegnati a vivere la bellezza che a sfogarsi scrivendo canzoni terapeutiche.
Sempre a proposito di questa canzone, Keith Richard racconta nella sua biografia appena pubblicata di essersi svegliato durante la notte per memorizzare sul suo registratore il riff di “Satisfaction”. E’ vero che è successo lo stesso anche a te?
Sì, infatti. Mi sono svegliata di soprassalto alle 6:00 del mattino con questa melodia insistente… mi sono alzata con fatica, per fortuna avevo il registratore vicino al letto e così, in un modo incomprensibile, ho registrato quest’idea con una voce d’oltretomba. Mi sono rimessa a dormire e poi. verso mezzogiorno. l’ho risentita e incredibilmente l’ho compresa: era in finto inglese e diceva: ”don’t buy me flowers…” Da lì è nata l’idea dei fiori amari!
Ti sei mai ritrovata, come in “Scivoli di nuovo” a contare “ferita le cose che non sono andate come volevi, temendo sempre e solo di apparire peggiore di come sai realmente di essere”?
Forse un tempo e in qualche rara occasione. Per fortuna, ora cerco di vivere il presente serenamente e appunto, come dicevo prima, di prendermi poco sul serio. Comunque non temo di apparire peggiore di come sono, proprio perchè penso di avere una natura socievole e comunicativa, dunque naturale. il rischio c’è quando si è timidi, chiusi: e infatti questa canzone è stata ispirata da una mia carissima amica.
“Legami ma lascia dei dettagli che scolpiscano questa dolce resa” Come è nata “Black out”?
“Black out” è nata per gioco, insieme alla mia amica Barbara Eramo. Avevamo scritto la musica e, al momento di scrivere il testo, lei mi ha detto:”perché non scriviamo un brano alla Pj Harvey? Tipo un omicidio in un albergo?”. Io li per li ho avuto qualche perplessità perché ho immaginato sangue e scene truculente… ma allo stesso tempo ho sentito un desiderio stimolante di scrivere qualcosa di trasgressivo e ironico. Così ho pensato a un sogno erotico… e da li il gioco di raccontare in questa veste la sindrome di Stoccolma.
Nell’ultimo brano dell’album, che dura poco più di un minuto, canti: “E adesso che mi sono spogliata perfino dei miei segreti come potrò coprire il silenzio”. Una bella poesia non solo è eccellente nell’esprimere i pensieri e i sentimenti del poeta, ma è anche musicalmente bella nei termini di sillabe, ritmi e rime?
Sì, la poesia è molto musicale, ha una sua melodia intrinseca, che spesso non corrisponde con quella che un musicista può attribuirle, ma io mi son permessa di dare la mia versione musicale a questa poesia per me disvelante e molto intima, poiché sentivo rappresentasse in pieno il mio stato d’animo per la conclusione del disco e poi l’ha scritta mia madre. Detto ciò, adesso mi sto appassionando e sto musicando le poesie di una grandissima poeta che adoro: Patrizia Cavalli.