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I Tre piani di Nanni Moretti

Grande curiosità per il nuovo film di Nanni Moretti, che ieri mi ha fatto infilare in un cinema dopo aver raccolto opinioni assolutamente contrastanti in un range che va da magnifico a inutile.
Dunque, tre piani di un condominio borghese in cui si intrecciano e dipanano le storie dei suoi abitanti, partendo da un incidente stradale che in piena notte coinvolge in modo diretto o trasversale i personaggi della storia.
Tutto nel film è diviso per tre: tre sono i piani del bel villino liberty, tre sono i tempi narrativi che si susseguono a scatti di lustro, di quinquennio in quinquennio, ma soprattutto tre sono i piani dell’esistenza che Moretti ci rappresenta.
Esiste un piano terra, anzi terra-terra che è quello della realtà: concreta, crudele, ineludibile.
C’è chi si arrende ad essa e ne resta sconfitto anche a costo di rinunciare agli affetti più cari, chi la guarda ma non ne accetta la sua disperata prospettiva attuando fughe immaginarie, e chi invece non soccombe a un futuro già codificato, decidendo di costruirla a suo modo, intraprendendo strade altre e persino precipitando nell’abisso.
Ai diversi approcci fanno da contraltare gli aspetti caratteriali dei singoli personaggi, alle prese con le proprie debolezze e le proprie resistenze cui cercheranno, più o meno consapevolmente, di opporsi non sempre con esito felice.
Il piano intermedio invece è abitato dalla clandestinità. Ognuno dei personaggi di questo racconto corale ha anche una voce clandestina, spesso ignorata da chi gli sta intorno. Ma non sempre questa clandestinità è cosa sporca, poiché talvolta essa rappresenta solo il margine di segretezza che ognuno rivendica per sé, uno spazio di libertà in cui potersi perdere, semplicemente sottraendosi alla realtà. E andrebbe anche bene, se però questa segretezza si mantenesse tale, poiché laddove invece viene trasportata sul piano del reale, diventa un disastro per le implicazioni e le proiezioni altrui che vi si affastellano sopra.
E il terzo piano? Oh, il terzo piano è il migliore. È abitato da chi sa tirar fuori dai primi due, nonostante ogni crudele rappresentazione della realtà, una prospettiva poetica.
Così l’organizzazione di una milonga clandestina diventa occasione per una delle più belle scene del film. Una pausa dal dolore, l’incanto surreale di passi di danza scolpiti sull’asfalto ed esatti nelle note di un tango ballato in strada che sospende e rapisce per un attimo le vite dei protagonisti.
Ma poesia è anche lo sguardo di profonda connessione tra un figlio ribelle e una madre che non si arrende, poesia è ogni nuova vita che viene al mondo, poesia è perfino il desiderio disperato di una bimba diventata d’un tratto grande per l’abbandono della mamma.
Moretti tratteggia dunque i suoi tre piani dell’esistenza, anche se, a onor del vero, il risultato non sempre è a fuoco. La materia è ostica, trattandosi di uno spaccato della medietà borghese che di per sé non è il male, a patto però di non diventare oggetto di una narrazione ovvia in cui a tratti si scivola.
Il film ha tempi ‘morettiani’, qualche momento di stanca, e qualche divagazione forse un po’ forzata, ma in compenso viene supportato da un ottimo cast, su cui primeggia Margherita Buy, sciupata e compassata al punto giusto, e da attori giovani e giovanissimi che una volta tanto offrono interpretazioni convincenti, lontani, per capirci, da una recita scolastica di fine anno.
In conclusione? Forse il nostro avrà girato pellicole migliori, il film ‘non decolla’ semplicemente perché non è in crescendo. Ha invece una sua geometria euclidea fatta di segmenti che scorrono su rette parallele, anzi su tre piani paralleli.
Ma, a pensarci bene, Moretti, dai tempi delle fughe dal mondo reale ironiche e confettose – una su tutte il pasticcere trotzkista degli anni ’50 di ‘Aprile’- oggi ci indica una diversa strada da seguire, e questa volta non per evadere, ma, in modo forse più crudo e onesto, per sopravvivere alla realtà.
di Lidia Monda

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