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Sindrome da alienazione parentale: l’arresto della Corte di Cassazione

Illegittimo il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale per giustificare la decadenza dalla responsabilità genitoriale e il collocamento del minore in una casa-famiglia.

IL CASO Sindrome da alienazione parentale

Con l’ordinanza n. 286 del 24 marzo 2022, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una donna, madre di un minore di 12 anni, avverso il provvedimento con il quale il Tribunale dei Minori aveva statuito la decadenza della stessa dall’esercizio della responsabilità genitoriale e l’allontanamento immediato del minore dal domicilio materno, con sua collocazione in casa-famiglia e contemporanea sospensione dei rapporti fra madre e figlio.

Il presupposto alla base dell’ordinanza resa ex art. 330 c.c. si fonda sulla ritenuta sussistenza, nel caso in esame, della cosiddetta PAS (sindrome da alienazione parentale, rectius genitoriale) ravvisata nel comportamento della madre di continuo ostacolo al rapporto padre-figlio e quindi dalla conseguente necessità per il Giudice minorile, confermata dalla Corte d’appello in sede di reclamo, di allontanare la madre dal figlio al fine di ricostituire un regolare rapporto fra questi e il padre, nel rispetto del principio della bigenitorialità.

IL PROVVEDIMENTO Sindrome da alienazione parentale

Con la pronuncia in esame gli Ermellini affrontano, ancora una volta, il delicato tema della Sindrome da alienazione genitoriale, istituto elaborato dallo psichiatra forense Richard Gardner negli anni ottanta e definito come una disfunzione psicologica che si attiva nel minore, coinvolto in situazioni di conflittualità fra un genitore e l’altro determinate dalla separazione o dal divorzio fra i due.

Causa di detta sindrome secondo il citato psichiatra sarebbe da rinvenirsi nel comportamento attuato da un genitore (c.d. alienante) sul figlio minore – definito patto di lealtà – volto a creare astio, rifiuto e risentimento nei confronti dell’altro genitore.

La Pas, pur non essendo disciplinata dal nostro ordinamento ha trovato sempre più spazio nei tribunali italiani nelle cause aventi ad oggetto l’affidamento e la collocazione del minore ponendosi spesso, da un punto di vista concettuale, in contrasto con il c.d. “principio della bigenitorialità” codificato dal nostro sistema giuridico nel 2006.

In molte pronunce, infatti, si è sacrificato il rispetto di tale ultimo principio in nome della c.d. PAS e si è giunti ad abusare del concetto stesso di Sindrome da alienazione genitoriale per giustificare l’allontanamento dei minori da uno o dall’altro genitore.

Questo, in sostanza, il principio espresso dalla Corte di Cassazione con il provvedimento in esame: “Il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre”.

Nel caso in esame Corte ha accolto il ricorso della madre sostenendo che il Tribunale dei Minori in primo grado e la Corte d’appello poi avevano errato nello stabilire la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale della madre sull’unico presupposto della accertata violazione da parte della stessa del principio della bigenitorialità.

I giudici di legittimità hanno ritenuto che la drasticità di una tale misura -che avrebbe reciso ineluttabilmente ogni rapporto del figlio dodicenne con la madre con la quale conviveva da sempre- richiedesse anzitutto un accertamento circa l’idoneità della stessa, non solo e non tanto a garantire l’attuazione concreta del predetto principio, quanto piuttosto la tutela effettiva del superiore interesse del minore.

E tale tutela può dirsi attuata, prosegue ancora la Corte solo nell’ipotesi in cui i Giudici di merito, chiamati a decidere se disporre la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre e la collocazione del figlio minore in una casa famiglia, compiano un corretto bilanciamento fra la sofferenza immediata inferta al minore in conseguenza del suo allontanamento dalla madre, a fronte di un beneficio futuro costituito dalla ricostruzione nel tempo del rapporto con il padre e soprattutto dalla valutazione degli strascichi psicologici ed emotivi che la sofferenza attuale possa provocare sul minore con il trascorrere del tempo.

La Corte ha ritenuto che tale bilanciamento sia stato invece completamente omesso dai Giudici di merito.

Ulteriore grave omissione, secondo la Corte, risiede nella circostanza che quegli stessi giudici hanno omesso l’ascolto del minore, richiesto per l’ipotesi di minore infra-dodicenne, come nel caso in esame, a pena di nullità dell’intero procedimento.

Ribadisce, infatti, la Corte che giammai l’ascolto del minore da parte del Giudice può essere disatteso e sostituito tout court da una consulenza tecnica d’ufficio, ribadendo anche in questa pronuncia come l’ascolto sia da intendersi una “competenza specifica del bambino”.

Conclude quindi la Corte per l’accoglimento del ricorso ritenendo come il rapporto del minore con il padre, non ancora del tutto compromesso, possa essere adeguatamente tutelato, non tanto attraverso il richiamo automatico alla PAS quanto piuttosto attraverso il ricorso a misure sanzionatorie di carattere economico, come quelle di cui all’art. 709 ter c.c. (impartite cioè a carico di quel genitore che dolosamente o colposamente si sottragga alle prescrizioni impartite dal Giudice), unitamente ad un percorso di sostegno psicologico fornito in particolar modo alla madre che, sostiene la Corte, potrebbe essere maggiormente favorito da questa, nel momento in cui la stessa non percepisce più la concreta minaccia di essere separata per sempre da suo figlio.

Samantha-SoriconeAvv. Samantha Soricone

Avvocato matrimonialista del Foro di Roma

foto: pixabay

Sindrome da alienazione parentale

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