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La bellezza dell’arte è diventare la voce di tutti. Intervista a Ilaria Giovinazzo

Da antropologa e storica delle religioni posso permettermi di affermare che una cultura si definisce superiore nel momento in cui concepisce la bellezza e l’arte.

Ilaria Giovinazzo vive il suo tempo trasformandolo in Poesia. Nei suoi versi l’arte di contemplare il bello diviene una rivoluzione umana, una leggiadria, una gentilezza. La missione è armonizzare il suono e i sentimenti, l’etica e l’estetica, l’essere e l’esistere, alla ricerca del Bene assoluto.

La poesia di Ilaria Giovinazzo esplora le emozioni e le esperienze umane attraverso le parole, trasmettendo significati profondi e bellezza.

L’ultima silloge pubblicata, “La religione della bellezza, ci ha dato lo spunto per una intervista sui temi cari all’autrice.

Secondo John Ruskin, a cui il titolo della silloge si ispira, la grande arte è l’espressione di un temperamento dotato e di un’anima pura. È cosi anche per lei?

Sì, il titolo della raccolta riprende esattamente il titolo di uno dei trattati di Ruskin, un trattato in cui etica ed estetica vengono poste in relazione e in cui la bellezza della natura viene considerata cifra e rappresentazione della bellezza divina.

Questo stesso concetto veniva espresso nello stesso momento anche da un suo contemporaneo, un americano del Massachussets, facente parte insieme a Henry David Thoureau della corrente del trascendentalismo: Ralph Waldo Emerson.

Il fondo platonico e neoplatonico delle loro idee è evidente. Leggiamo infatti in Plotino che l’amore, il desiderio (eros) della bellezza è l’ipostasi che ci spinge a cercare Dio nella natura e che la natura, il Cosmo, la materia, non è altro che un’emanazione divina che esiste in Lui e in cui Egli è contenuto. L’uomo cerca naturalmente il Bene, la Luce, il Bello e il desiderio di bellezza non è altro che la spinta naturale dell’uomo verso Dio.

La bellezza dell’arte quindi, vista come perfezionamento del bello naturale e come espressione dell’anima (“Tutta la produzione artistica è il prodotto del lavoro dell’intera creatura vivente, corpo e anima, e principalmente dell’anima.” scrive Ruskin) diventa allora lo strumento per elevare gli uomini.
Come per Emerson la ricerca della bellezza, del vero, conduce gli uomini sulla retta via, la via dell’etica, anche per Baudelaire la bellezza coincide con la strada verso la felicità.

Ilaria GiovinazzoLa poesia, l’arte tutta, è dunque vista come la volontà umana di ricreare il mondo secondo la propria anima, in un’eterna ricerca del bello.

Da antropologa e storica delle religioni posso permettermi di affermare che una cultura si definisce superiore nel momento in cui concepisce la bellezza e l’arte.
La bellezza è inevitabilmente una visione prodotta dalla cultura ed è con lo sviluppo della civiltà che nasce la bellezza, che nasce la creatività.

C’è bellezza invece nella guerra, nella distruzione di esseri umani e cose?
Come possiamo ad esempio, noi artisti, amanti del bello, accettare gli orrori della guerra? Gli artisti, i più umani tra gli umani, dovrebbero difendere la bellezza. Credo che la frase di Dovstoevskij “La bellezza salverà il mondo”, che nasce dalle medesime correnti filosofiche presenti in quel momento in Russia, proposte da teorici come Solov’ev, Florenskji (La bellezza è la manifestazione della verità, cfr.) e l’immenso Tolstoj, sia un’indicazione di percorso per ogni artista.

La ricerca della bellezza è una concezione culturale ed è una delle caratteristiche principali di una società sana e civile. Per tornare alla domanda, sì, inevitabilmente per creare arte deve esserci un temperamento dotato, una sensibilità spesso anche estrema e la volontà di un’anima pura, fanciulla, che ci permette di guardare la bellezza dei fiori mentre camminiamo sull’abisso, come dice il monaco poeta zen Issa.

Cito una sua poesia: Non ho altra religione/che la bellezza / dell’anima /delle cose.  Esiste la bellezza assoluta? Come si può riconoscere?

La bellezza assoluta è l’autenticità. E come la si raggiunge? Con la visione. Le religioni orientali ci insegnano a raggiungere la bellezza assoluta attraverso la meditazione e la contemplazione, a raggiungere quindi quel nucleo divino che ognuno di noi possiede nell’intimo.

Cito nuovamente Plotino, dalle Enneadi “É come se un uomo immerso nel fango di un pantano non mostrasse più la sua bellezza, ma di lui si vedesse soltanto il fango di cui è coperto. La bruttezza è sopravvenuta su di lui per l’aggiunta di un elemento estraneo e sarà una bella impresa riacquistare la sua bellezza: dovrà pulirsi e lavarsi bene e solo così tornerà ad essere quel che egli era.

La stessa immagine viene ripresa anche dagli shintoisti ad esempio (ma tutta la filosofia orientale usa metafore simili). Per gli shintoisti l’anima è come uno specchio che riflette la divinità e il peccato ne deturpa la nitidezza. Ripulendo lo specchio, l’anima tornerà a rifulgere quella bellezza divina di cui è portatrice.
Lo sguardo interiore, la pratica, porta a liberarci dal fango che non ci permette di vedere la bellezza assoluta, il Bene assoluto.

Sempre Plotino ci indica la strada: “Bisogna che i tuoi occhi si rendano simili all’oggetto da vedere, e gli siano pari, perché solo così potranno fermarsi a contemplarlo. Mai un occhio vedrà il Sole senza essere divenuto simile al Sole, né un’anima contemplerà la bellezza senza essere divenuta bella. Che ciascun essere divenga simile a Dio e bello, se vuol contemplare Dio e la bellezza.”

In un’altra poesia mette a nudo la propria fragilità: Abito un corpo di cristallo,/ ho ossa di vetro sotto la pelle,/ vanno maneggiate con cura:/ ad ogni passo rischio la frantumazione./ Dietro il mio volto sorridente/ si nascondono tendini fragili,/ potrei scompormi, spezzarmi/ senza alcun rumore./ Quindi ricorda:/ nel toccarmi/ sii lieve.
Quanto c’è di autobiografico nelle sue poesie?

L’arte non può non essere autobiografica, per quanto si cerchi di uscire da sé stessi, qualcosa di noi resta impigliato nella creazione dell’opera. Questo discorso nella poesia vale ancora di più, a mio parere. La poesia è la messa a nudo dell’anima. Quando si scrive poesia autentica è l’anima che parla.

Questa poesia che ha citato, in particolare, che potrebbe sembrare simbolica o metaforica, in realtà parla della mia malattia autoimmune, che fa sì che i miei tendini siano più fragili di quelli delle persone normali. E da qui diventa un’esortazione a fare attenzione alle anime degli altri, alle fragilità che ognuno di noi possiede. L’esperienza personale diventa simbolo universale. Questa è la bellezza dell’arte: diventare la voce di tutti.
Questa raccolta di poesie è una storia, un percorso dal buio alla luce. Il mio personale percorso umano.

Come può l’uomo rifulgere nonostante la propria finitezza?

Ilaria Giovinazzo
Ilaria Giovinazzo

L’unico modo per noi esseri umani di raggiungere la nostra vera natura, quella luce che ognuno possiede in sé e ripulirsi dagli eccessi e dalle derive che, come dice per esempio il buddhismo, ci intrappolano nelle spire delle rinascite e del samsara, è liberarsi dalle tre cause del dolore umano, che sono: ignoranza, attaccamento (desiderio eccessivo alle cose materiali) e rabbia (odio). Da queste vengono prodotte tutte le altre cause.

Eliminando queste cause e contemplando il nostro vero Sé riusciamo a far splendere lo specchio, ovvero ciò che siamo: scintille divine.
I sufi hanno una parola: nur, che significa luce. Ogni particella di luce, per i sufi, viene riflessa dallo “specchio del cuore” e induce a una conoscenza spirituale specifica a seconda del colore.
Nur è la luce spirituale di una persona. La spiritualità di una persona può essere giudicata dal nur che emana.

La nostra umanità, la nostra finitezza, contiene in sé quella luce e ci permette, attraverso la cultura e la “coltura dello spirito” di rifulgere. Restiamo umani, mortali, imperfetti ma non dimentichiamo che dentro di noi abita Dio. E comportiamoci di conseguenza.

di Mario Masi

Ilaria Giovinazzo

Ilaria Giovinazzo

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