Mentre la situazione in Libia continua ad essere tesa e gli scontri tra forze governative e i ribelli continuano, particolarmente nella città petrolifera di Zawiyah, c’è grande attesa per il prossimo incontro tra i Ministri della Difesa della NATO che si terrà a Bruxelles domani e venerdì. Tra le ipotesi, l’utilizzo di forze navali per garantire la consegna di aiuti umanitari e bloccare l’invio di armi al governo di Gheddafi, nonché l’istituzione di una zona di interdizione al volo, altrimenti nota come no-fly zone, anche senza l’avallo delle Nazioni Unite. L’insieme delle possibili opzioni, che segue un giro di consultazioni avviato nei giorni scorsi tra le diverse capitali, è ancora in preparazione nelle stanze e nei corridoi della sede centrale della NATO a Bruxelles, dove l’attività è quanto mai in fermento.
L’amministrazione Obama, gli alleati della NATO e gli altri attori internazionali, come l’Unione Europea, tuttavia, sono concordi sul fatto che un eventuale intervento militare in Libia ha bisogno di una qualche forma di copertura internazionale, che le Nazioni Unite non sembrano essere molto inclini a concedere e per questo si stanno considerando forme di sostegno alternative. A ulteriore conferma di un simile indirizzo d’intenti, è stato ricordato, infatti, che le operazioni aeree del 1999, volte ad annichilire il regime serbo di Slobodan Milosevic in Serbia, furono condotte senza la benedizione delle Nazioni Unite. Nelle parole di un rappresentante della NATO: «Una volta che si ha l’approvazione di organismi regionali, come la Lega Araba, l’Unione Africana e l’Unione Europea, ovvero da blocchi che comprendono tutti i Paesi entro un raggio di 5 mila chilometri dalla Libia, l’azione avrebbe un certo grado di legittimità».
La Francia e l’Italia, attraverso i rispettivi Ministeri degli Esteri, hanno reso noto di aver preso contatti con diverse figure dell’opposizione, mentre gli Stati Uniti sono riluttanti a dichiararsi apertamente favorevoli all’azione militare. I responsabili della pianificazione strategica presso la NATO stanno elaborando una serie di alternative che prevedono l’istituzione di ponti aerei e/o navali per garantire l’afflusso di aiuti umanitari o la protezione di navi civili dirette verso il porto di Bengasi o altre aree sotto il controllo dei ribelli, oltre ad assicurare il pattugliamento marittimo volto ad assicurare l’attuazione dell’embargo. Eventuali azioni navali non avrebbero bisogno di una risoluzione delle Nazioni Unite. L’argomento sul quale ancora non c’è un accordo formale è l’istituzione di una no-fly zone. La Russia e la Cina, che hanno potere di veto nell’ambito del Consiglio di Sicurezza, si sono dette contrarie, ma sull’altra sponda dell’Atlantico l’appoggio degli organismi regionali è visto come un viatico per l’approvazione di una Risoluzione delle Nazioni Unite. Anche la Germania non sembra essere favorevole e poiché il meccanismo di approvazione della NATO si basa sul consenso, nessuna risoluzione sarebbe approvata dopo che un membro dell’Alleanza ha deciso di opporvisi apertamente.
Nei suoi colloqui con i colleghi statunitensi e britannici, il Ministro degli Esteri Frattini ha affermato che l’Italia potrebbe rendere disponibili le proprie basi per operazioni di interdizione aerea qualora queste fossero supportate dalla NATO, dalla Lega Araba e dall’UE. Tuttavia, nessuna di queste organizzazioni ha finora dimostrato di essere apertamente a favore di un’opzione militare. Nell’ambito della stessa Lega Araba, ci sono voci contrastanti in merito. Lo stesso accade all’interno dell’amministrazione americana: per alcuni infatti, l’ipotesi di mostrare i muscoli potrebbe non essere la più adatta al ribilanciamento del potere nel paese nordafricano. In passato, la no-fly zone sul Kosovo è stata in vigore per tre anni, prima di passare all’offensiva contro Belgrado. Oggi, la catastrofe umanitaria sarebbe il motivo migliore per giustificare l’adozione di una simile misura, ma anche in questo caso le basi non sono troppo solide. Quante persone, infatti dovranno morire prima che il fenomeno costituisca una legittimazione giuridica ad agire?
Intanto il leader libico nel corso di un’intervista rilasciata alla televisione turca TRT, si è scagliato contro gli occidentali, che a suo dire sarebbero intenzionati a condurre un «complotto colonialista» contro il suo paese. «Se al Qaida riuscirà a impadronirsi della Libia, l’intera regione fino ad Israele sarà preda del caos». «La comunità internazionale ha cominciato a comprendere ora che siamo noi ad impedire a Osama Bin Laden di prendere il controllo della Libia e dell’Africa», ha aggiunto Gheddafi, che parlava in arabo ed era sottotitolato in turco.
In merito alla decisione di istituire una no-fly zone Gheddafi non ha lasciato alcun dubbio sul tipo di reazione:«Se prendono una decisione del genere, sarà utile per la Libia perchè il popolo vedrà la verità e cioè che quello che vogliono è prendere il controllo della Libia e rubare il suo petrolio. Allora, il popolo libico prenderà le armi contro di loro».