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Pietà l'è morta

di Francesco Corbisiero

 

Vittorio Arrigoni con una bambina palestinese

C’è un filo rosso, rosso di sangue, che lega l’uccisione di Vittorio Arrigoni a quella, lontana ormai nel tempo, di un altro italiano, più a Oriente in latitudine, ma sempre nella feroce e tormentata area del Medio Oriente, nell’Iraq della guerriglia post Saddam.

Ci sono molti, troppi punti in comune tra Vittorio Arrigoni ed Enzo Baldoni. Entrambi rapiti da gruppi di terroristi islamici, tutti e due uccisi prima dell’ultimatum stabilito con gelida brutalità dai loro carnefici. Ma a legare i due c’è molto di più delle circostanze contingenti della loro morte: entrambi cooperanti in una zona di guerra, entrambi blogger con la passione per l’informazione dalla viva fonte, dove si spara e si crepa di fame e pallottole. Entrambi idealisti, con la convinzione che un mondo migliore fosse possibile anche grazie ai gesti che vedono rifiorire la solidarietà oltre le atrocità che caratterizzano un conflitto. Entrambi inviati per giornali di sinistra: Arrigoni per ‘Il Manifesto’, Baldoni per il ‘Diario’ di Enrico Deaglio. E forse proprio per questo ( ed è l’ennesimo punto di analogia ), durante il rapimento e anche dopo la morte, offesi e oltraggiati dalla stampa tendenzialmente vicina al Pdl. C’è un filo nero, nero d’inchiostro, a legare le due vicende.

Ricordiamoli pure gli epiteti al veleno scritti da Vittorio Feltri e l’agente Betull… pardon, Renato Farina nell’agosto 2004 sull’ostaggio dell’Esercito Islamico in Iraq: il ‘bauscia’ con la passione per le vacanze pericolose ed estreme, il simpatico pirlacchione che va a passare le ferie estive nella tana dei tagliagole, il pacifista col kalashnikov, il simpatizzante dei terroristi, il copywriter imbevuto di antiamericanismo, etc. Fino ad arrivare al culmine perverso del climax ascendente di ignoranza e cinismo, marchio di fabbrica inconfondibile delle due testate e dei loro assidui lettori, quando, la mattina dopo l’annuncio dell’esecuzione del giornalista da parte di Al Jazeera, ‘Libero’ titolò a caratteri cubitali ‘COLPO IN TESTA A BALDONI’. Non c’è che dire, un esemplare, stringato ma efficace, saggio delle capacità editoriali (e soprattutto dell’umana pietà) del giornalismo di pura marca berlusconiana.

Ed ecco che la storia si ripete per Arrigoni: a corpo ancora caldo partono le raffiche ad alzo zero dei lettori. Anche qui le solite domande (retoriche, ça va sans dire, certe persone non hanno bisogno di risposte vere semplicemente perché non hanno dubbi su ciò che pensano e dicono): ‘Cosa è andato a fare in Palestina? Lo sapeva che lì si spara’. Poi le lamentele (es. ‘vada a farsi liberare da D’Alema, Vendola e Gino Strada, dato che la sinistra italiana va a braccetto coi terroristi’), per arrivare all’accusa di essere un perdigiorno e per giunta, in quanto dipendente di organizzazioni non governative, lautamente stipendiato. Il direttore Belpietro, dal canto suo, afferma che egli sia morto per un eccesso di buonismo e idealismo (sottolineando l’inimicizia di Arrigoni con lo stato d’Israele e affiancandolo ad Hamas). E per quanto riguarda l’universo della stampa on-line, su Daw-blog.com, sito vicino al centrodestra, non mancano le precisazioni: Arrigoni non era un pacifista, ma un combattente per la causa palestinese, in lotta per vedere Israele sparire dalle cartine geografiche. Tanti modi e sfumature per ribadire un unico, incontestabile concetto: se l’è cercata. Esattamente come fu per Baldoni, uguali le parole, identico il metodo.

E poi, a completare il tutto, arriva la porcata che non ti aspetti. Giancarlo Lehner, deputato eletto nelle liste del Pdl e ora nel gruppo parlamentare dei Responsabili, polemizza con il Presidente Napolitano, reo di aver espresso il suo cordoglio alla famiglia, dipingendo il cooperante ucciso a Gaza come un militante antisemita vicino ad Hamas, ucciso da chi lo ha scavalcato a sinistra nell’antisionismo.

Frasi che fanno rabbrividire, che sconvolgono e feriscono. Per una serie di fattori: un cinismo senza pari, una partigianeria e una faziosità portate ai limiti della decenza e della misura, un oltraggioso disprezzo delle opinioni e degli stili di vita altrui, per quanto lontani possano essere dai propri, una cattiveria fuori da ogni umana compassione, un imbarbarimento al di là di ogni ragionevole portata. La stampa del Cavaliere però, ha qualcosa di buono. Chiunque voglia delucidazioni su cosa sia stato il fenomeno storico dello squadrismo fascista, vada a leggersi gli editoriali e i corsivi di questi giornali. Capirà al volo. Perché la stampa di destra in Italia oggi è questo: uno squadrismo che all’olio di ricino e ai manganelli ha sostituito la mazzetta dei giornali arrotolata a mò di clava per picchiare il prossimo, a seconda di chi sia. Non c’è più l’avversario, c’è un nemico da combattere e odiare in una crociata per difendere i propri interessi e i propri spazi. E non basta più che il nemico sia sconfitto, è necessario sbeffeggiarne la credibilità, persino da morto, seppellirlo senza nemmeno più l’onore delle armi. E poi, dopo lo sporco lavoro, spegnere i riflettori mediatici e gettare tutto nel dimenticatoio, sperando che nessuno si ricordi di tante e tali bestialità.

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