di Maria Rosaria De Simone
Barbara Benedettelli, scrittrice, articolista, curatrice del programma “Top Secret” in onda su Rete4. Sono le quattro del pomeriggio e mi sto recando a un appuntamento con lei, per parlare del suo ultimo libro “Vittime per sempre” (Aliberti Editore, 277 p. 2011,€ 16,50). Lascio l’Ara Pacis alle spalle e mi dirigo verso l’altra sponda del Tevere. Mi addentro nei vicoli all’ombra del cupolone e finalmente arrivo in un ex convento adibito ad albergo. Bel posto.La scrittrice mi raggiunge. Ha il viso dolce e sorridente, occhi neri e profondi. Si instaura subito un clima di simpatia.
Barbara, parlami del tuo ultimo libro “Vittime per sempre”.
In questo libro ho messo tutta la mia anima. Mi ha assorbito completamente, vi ho lavorato senza sosta. E’ il frutto di numerose interviste che ho fatto ai parenti di chi è stato strappato prematuramente alla vita. La vita è il più grande dono che possediamo ed è importante che impariamo a rispettarla. Non possiamo svalutarla, trattarla come carta straccia. Non possiamo disprezzarla. La vita va difesa. E’ questo che ho cercato di mettere in evidenza.
Chi sono le ‘vittime per sempre’ di cui parli?
Le vittime per sempre sono i congiunti di chi è stato ucciso. Uccidere una persona significa uccidere un mondo intero, distruggere le vite dei familiari che vengono condannati ad un’esistenza di dolore. L’assassino dopo aver scontato la sua pena, può comunque avere un futuro. I familiari delle vittime no. Vengono condannati all’ergastolo del dolore. Nel libro ho voluto dar voce a queste vittime. Racconto otto storie.
Ho visto che il libro raccoglie le interviste ai parenti delle vittime.
Si, il libro contiene i dialoghi, le confidenze, la corrispondenza che ho ricevuto dai parenti che vivono un’esistenza spaccata, che cercano di farsi ascoltare per ricevere giustizia e che invece si sentono dimenticati, mal tollerati e maltrattati dal nostro sistema giudiziario. Avvicinandomi a loro ho scoperto un mondo che neanche lontanamente immaginavo. Sono entrata nella loro vita in punta di piedi, ho visto il loro dolore, il disincanto di scoprire che l’assassino, nel corso del processo, si trasforma da delinquente senza scrupoli in ‘povera vittima’ che va curata, seguita, e quasi coccolata per donargli, dopo una detenzione mai adeguata alla efferatezza del delitto, una nuova esistenza, una nuova possibilità di futuro e di ricostruzione. Nel sistema penale italiano la vittima, i parenti delle vittime, che hanno perso il bene più grande, contano pochissimo. Conta di più il bene per l’assassino, il suo recupero, il suo reinserimento nel sistema sociale. E con questa mentalità, ho scoperto che la vittima e i loro parenti non ricevono giustizia. Noi abbiamo un ‘sistema premiale’: se l’assassino dimostra una convinta partecipazione alla rieducazione, ti riducono quarantacinque giorni di pena ogni sei mesi. E a questo si aggiungono una serie di altri benefici.
Nel libro denuncio un sistema che non rispetta le vittime nella loro necessità di vedere riconosciuta la propria dignità, il proprio valore. Le pene che vengono inflitte ai colpevoli dovrebbero essere proporzionate al reato. Un uomo che compie un omicidio, ha provocato una morte definitiva, una via di non ritorno, quindi dovrebbe ricevere una condanna adeguata, perché quello che ha fatto non può essere cancellato, né vi si potrà mai più porre riparo. Invece la nostra Carta Costituzionale, con l’intento di un fine educativo della pena per il reinserimento del detenuto nel tessuto sociale, dal 1975, ha dato il via ad una serie di benefici per buona condotta, che portano a sconti di pena per il condannato impressionanti In questo modo si è arrivati ad un garantismo per il detenuto che ha portato ad un forte squilibrio. In parole povere, un assassino rimane in carcere molto poco. Non sconta la sua pena ed esce presto, spesso inconsapevole della gravità del delitto che ha commesso. I parenti delle vittime non solo sentono che il loro caro viene ucciso per la seconda volta da una giustizia che loro reputano ingiusta, ma spesso devono convivere con il terrore di incontrare per le strade del loro paese l’assassino, magari superbo, con lo sguardo di chi l’ha fatta franca e senza alcun gesto o segno di pentimento. Nel mio libro i parenti delle vittime chiedono quello che oggi nel nostro sistema giudiziario non c’è: la certezza della pena.
Puoi fare qualche esempio?
Prendiamo il caso di 4 ragazzi giovanissimi, Alex Luciani, Danilo Traini, Davide Corradetti, Eleonora Allevi. Nel 2007, stavano andando a prendersi un gelato. Un ragazzo rom, ubriaco, al volante di un pulmino, li ha falciati. Ebbene considera quanto dolore, quante persone sono state distrutte quella sera: i ragazzi, che non ci sono più ed i loro genitori, i loro fratelli, tutti coloro che li amavano. Eppure tutto questo poteva essere evitato. L’assassino, Marco Ahmetovic l’anno precedente aveva tentato una rapina in un ufficio postale. Non avrebbe dovuto essere in prigione?
Certo, avrebbe dovuto essere in prigione. E come è finita?
L’uccisone di quattro giovani vite ha portato Ahmetovic a sei anni e sei mesi di reclusione, inizialmente ai domiciliari, in un residence al mare presso un amico, e poi revocati solo perché l’assassino non rispettava i domiciliari.
Non c’è alcuna certezza della pena, come dici tu. Non solo la condanna non è adeguata al fatto commesso, ma neppure viene rispettata.
Sì, questa è una beffa per i parenti delle vittime. Ti faccio un altro esempio. Ricordi il piccolo Tommaso Onofri?
E come potrei dimenticarlo, ha tenuto tutta Italia con il fiato sospeso…
Ho intervistato la madre, Paola. E’ una donna distrutta. La avvicini, ne respiri il dolore e ne sei sopraffatta. Paola chiede giustizia, una giustizia che prima di pensare a rieducare, punisca, per far comprendere che la vita di un bimbo ha valore. Che distruggerla ha un costo: la libertà. Che questo prezzo, il prezzo della libertà, l’assassino lo deve pagare. Nel 2006 Paola aveva una famiglia, che ora non esiste più. Due estranei hanno rapito Tommaso, di diciassette mesi, e lo hanno ammazzato senza pietà. Mario Alessi e Salvatore Raimondi, questi i nomi degli assassini. E Antonella Conserva, presunta complice. Alessi, è stato condannato all’ergastolo. Raimondi, sconta vent’anni, perché ha usufruito del rito abbreviato, nonostante l’efferatezza del delitto. Conserva attende la decisione della Corte d’Assise d’Appello di Bologna. Il collegio difensivo della donna cerca di dimostrare la sua estraneità, nonostante le prove. “Io mi dichiaro innocente” dice la donna. Intanto c’è una sola certezza, quella della famiglia Onofri che non rivedrà mai più il loro piccolo, morto ammazzato.
Mario Alessi aveva già avuto problemi con la giustizia.
Infatti, è questo un altro punto importante. Alessi aveva già una condanna in primo e secondo grado per violenza sessuale. Nel 2000 una giovane coppia, nella loro casa rurale, fu assalita da due sconosciuti armati di pistola e coltello. La ragazza venne violentata brutalmente. Ed il violentatore era proprio l’Alessi, che venne arrestato, ma scarcerato dopo solo nove mesi per scadenza dei termini cautelari. Dopo due condanne per stupro, Mario Alessi girava libero. Libero di ammazzare il piccolo Tommaso Onofri.
Questo è lo scandalo della giustizia italiana…
Sì, uno scandalo e ti potrei raccontare una sequenza lunghissima di storie così.
Cosa hai provato nel passare così tanto tempo con i parenti delle vittime?
E’ dura. Il loro dolore diviene il tuo, ne sei totalmente coinvolto. Comunque una cosa te la posso dire. I parenti delle vittime chiedono la certezza della pena per gli assassini attraverso il mio libro, ma in loro non ho letto odio, rancore ed accanimento. Solo dolore, tanto dolore. Io poi, sono molto sensibile a queste tematiche.
Ricordo che entrasti anche in politica…
Entrai in politica. Ero piena di progetti, credevo che avrei potuto cambiare il mondo. Pensavo che avrei potuto aiutare chi è più debole, chi è meno fortunato. Purtroppo mi sono scontrata con la dura realtà della politica. Mi sono ritrovata sola nelle mie battaglie. Sono troppo idealista, non vado bene per questa politica.
E in tutto questo, tuo marito, Claudio Brachino, ti ha aiutata?
Claudio è un uomo meraviglioso. In passato abbiamo lavorato insieme. Lui mi ha sempre sostenuto. E’ anche un padre affettuoso. Rispetta il mio lavoro ed il mio bisogno di percorrere una strada lavorativa in completa indipendenza. Claudio non solo è un vero professionista, ma è anche molto sensibile ed è orgoglioso di quello che sto facendo. Anche i miei due figli, che amo con tutto il cuore, mi hanno sopportato durante la stesura di questo libro. Soprattutto nella fase finale: ero molto molto impegnata ed insopportabile.
Ho letto il suo libro, “Vittime per sempre”. Barbara Benedettelli è apprezzabile non solo per il modo in cui ha condotto le interviste e per le riflessioni di alto spessore, ma anche per l’utilizzo di una linguaggio scorrevole e ricco di suggestioni stilistiche. Molto bella anche la prefazione al libro di Rita Dalla Chiesa, che ricorda il giorno in cui venne a sapere dell’omicidio di suo padre, Carlo Alberto.
Questo è Vittime per Sempre. Un libro in cui l’anima di chi scrive e di chi si racconta è nuda, scarnificata a volte. Pagine in cui il sentimento, la passione civile, il dolore ma anche l’amore per la vita, si intercalano con la denuncia di un sistema che permette doppie, triple, infinite ingiustizie. Quelle che rendono queste persone, appunto, Vittime Sempre. Non una volta, ma ogni volta che un tribunale non le rispetta, ogni volta che un assassino si intromette nuovamente in quelle esistenze strappate, ferite, private di ogni diritto umano. Ogni volta che anche noi, la gente, l’opinione pubblica, i politici, i magistrati, gli scrittori, ci dimentichiamo che l’effetto di un omicidio non termina con la morte di un essere umano irrimediabilmente “cancellato”, ma continua in chi sopravvive a quella morte. Perché un essere umano è un mondo intero. Un mondo pieno di senso, di storia e di gente.
Intanto ho letto l’articolo, e compro anche il libro, già le anticipazioni e il sentimento, con il quale è stato redatto, ne impreziosisce il contenuto, che come sempre asseriamo, sono fatti che devono essere più sentiti dalle istituzioni.
L’ autrice nell’articolo, ad un certo punto dice:-……… La avvicini, ne respiri il dolore e ne sei sopraffatta…………è quello che mi succede quando guardo queste storie in tv, è quello che rende insopportabile la visione e soprattutto il sapere che non c’è giustizia; così lo tolgono il respiro, infatti uccidono una seconda volta e perpretano il dolore di questi poveri familiari.
C’è un tipo di film che non sopporto vedere, ………………….quelli di mafia……..anche se bellissimi, non riesco proprio a vederli, ho un rigetto naturale, proprio perchè chi è, a vincere sullo Stato e sulle persone per bene, sono sempre stati loro. Riescono a far fuori chi cerca di migliorare il nostro paese, e alla fine
quando sono in carcere trovano sempre una scappatoia. Se questa è giustizia……….
LA SCRITTRICE BENEDETTELLI HA PIENAMENTE RAGIONE, è TUTTO VERO, LUI HA FATTO SOLO 12 ANNI DI CARCERE, è USCITO INGEGNERE, SI è SPOSATO HA COMPRATO CASA, E ROSSANA I SUOI SOGNI DOVE SONO FINITI? COME TUTTE LE ALTRE RAGAZZE, CHE TUTTE HANNO LASCIATO UNA FAMIGLIA CHE NON SI DA PACE, CHE NUTRE ODIO PER QUEL BASTARDO, CHE HA TUTTE LE POSSIBILITà DI RIMETTERSI IN GIOCO, MENTRE LE NOSTRE FIGLIE. SIAMO SEMPRENOI AD ANDARE DA LORO, AL CIMITERO, PERCHè COME ROSSANA NON POTEVA STARE LONTANO UN GIORNO DA ME, MENTRE ORA NON PUò, E PER DI PIù LA GIUSTIZIA INFAME CHE CI TOGLIE TUTTI I DIRITTI DOVUTI, DOVREBBE SUCCEDERE A UNO DI LORO PER VEDERE SE CAMBIANO ATTITUDINE. VOGLIAMO LA CERTEZZA DELLA PENA SENZA SCONTI O PRIVILEGI. E L’ALLONTANAMENTO DALLE FAMIGLIE, PER ALMENO 1000KM, DALLE FAMIGLIEDELLE VITTIME, CI VUOLE UN RICONOSCIMENTO DEL NOSTRO DOLORE, CHE SIA MALEDETTO
Un articolo ed un libro sicuramente toccante e da leggere tutto d’un fiato con l’amarezza nel cuore
Solo una considerazione. La parte relativa all’impegno politico della Benedettelli e alla sua resa mi convincono ancora di più che è arrivato il momento che tutti noi in forma democratica e civile (parole insolite e quasi obsolete) ci riappropriamo di ciò che è nostro ovvero della politica.
La giustizia che non c’è, che non funziona se non per quei pochi per i quali deve funzionare; aiutare le persone deboli ed indifese nei propri drammi quotidiani: sono battaglie che noi gente comune dobbiamo fare nostre. Io ho cominciato questa battaglia e spero di non dovermi arrendere come Barbara (che capisco perfettamente).
La loro arma è proprio questa far cadere le braccia a chi tenta di alzare la testa.
Solo non isolandoci ma scambiando tra noi sensazioni, sentimenti, rabbie, opinioni (con ogni mezzo, anche questo per il quale ringrazio itali@magazine) ed elaborando proposte ed iniziative … forse potremo dire di aver contribuito ad alleviare “l’ergastolo del dolore” di chi vive nel ricordo di una persona cara, di un pezzo di sè, strappatagli dalla violenza.
Buongiorno, scrivo per rispondere ai tre commenti all’intervista.
Parto da Gioia, alla quale dico: sì, è vero che vedere le storie dei familiari delle Vittime in TV fa male. Ma dobbiamo imparare a prenderci addosso un pochino di quel dolore. Quando queste storie si mostrano, da quando si dà voce e corpo a quel dolore, qualcosa sta cambiando. Certo, i cambiamenti sono lenti, ma una volta che nella loro genesi riescono a entrare nel cuore dell’uomo, quel cuore può cambiare le cose. Per questo è nato Vittime per Sempre. Perché la violenza si può combattere solo se mostrata nella sua solidità. Nella sua ineluttabile e perenne presenza anche “dopo”, quando l’atto violento ( terminato nella sua realizzazione) ha creato una nuova realtà che rimane “per sempre”.
Letizia invece la vorrei stringere in un grande abbraccio. Vorrei dirle guardandola negli occhi che sua figlia non potrà ridargliela nessuno, ma che lei deve continuare a portarne nel mondo il ricordo, la personalità, le piccole e grandi azioni che ha compiuto nella sua purtroppo breve vita, perché così potrà renderla presente al mondo. Non possiamo dimenticare chi viene ucciso e chi sopravvive a quella morte, perché una società che lotta per le ingiustizie sociali non deve e non può, per la sua stessa sopravvivenza, dimenticare che la più grave delle ingiustizie sociali è quella che subiscono ormai migliaia di persone ogni anno nel nostro paese: la morte per mano di un altro essere umano. Migliaia sì. Nel libro metto insieme in modo provocatorio anche quelli che vengono chiamati omicidi colposi, gli incidenti stradali. Tredici persone al giorno muoiono a causa della mancanza di responsabilità con cui ci si mette alla guida di un mezzo. Della mancanza di “rispetto” per le regole e per gli altri. Della sfrontatezza di chi per gioco sfida la vita mettendo a rischio quella dei suoi simili. In Francia gli incidenti stradali li chiamano Violenze Routiere, da noi incidenti stradali. Nel 2010 ci sono stati oltre 490 omicidi in Italia. Oltre 400 assassini. Quante famiglie distrutte “per sempre”?
E ora rispondo all’avvocato Voltaggio. Io non mi sono arresa. Se lo avessi fatto non avrei scritto questo libro al quale ho lavorato con una grande passione civile. Non mi esporrei, non lotterei per farlo vivere insieme alle storie che vi sono dentro e che sì, fanno sentire l’amarezza nel cuore. Anzi, un senso d’impotenza che rimane anche dopo avere chiuso queste pagine ma che spinge le persone a cercare una via per fare qualcosa, anche una piccola cosa. Ma grande se fatta con il cuore, con passione, con un desiderio ritrovato di solidarietà e con quel senso di protezione della vita di tutti che non abbiamo più. Che cos’è questa se non politica? La politica non dovrebbe essere azione rivolta verso il miglioramento delle condizioni di vita della polis? Ovvero della gente che la abita? E un libro che cos’è? Non è un mezzo per veicolare un messaggio inviato a più persone, e che, quando ha valore etico, morale, informativo di una realtà poco conosciuta ma presente e bisognosa di cure, di ascolto, di Giustizia, sostiene il cambiamento che la politica dovrebbe realizzare per il benessere dei cittadini? No. Non ho abbandonato la politica in quanto interesse verso la polis e tentativo di dare voce e una migliore condizione di vita a chi non ce l’ha, motivando questa voce con esempi concreti e informazioni su un sistema sociale, della giustizia, della cultura che ha un sacco di buchi grandi come case. Sì. Ho abbandonato la politica come possibile carriera, come possibile professione, perché mi sono trovata in un luogo dove ognuno è solo davanti ai suoi sogni, che siano personali o collettivi. I miei erano collettivi, per realizzarli avevo bisogno di trovare una politica capace di lavorare insieme per uno scopo comune che andasse oltre il sogno del singolo, ma che riconoscesse nel singolo quello che di nuovo, di diverso, di buono può dare. E guardi che – a parte le eccezioni, che ci sono, che riconosco e che ammiro perché bisogna avere un carattere di piombo, in particolare oggi dove quello che conta sembra essere più distruggere l’altro che aiutarlo a realizzare quel sogno facendolo proprio – non è davvero un problema di appartenenza a una corrente o all’altra. E’ una incapacità generalizzata di fare squadra e di sostenere anche le idee contrarie, le ragioni contrarie, le motivazioni contrarie, le proposte degli altri, se possono fare bene, appunto, alla polis. Alla gente.
questa tavola rotonda, assolutamente non scontata e di alti contenuti mi piace e spinge a numerose riflessioni…grazie a tutti.
Leggendo l’articolo,chiaro,a suo modo freddo,lucido,intenso,mi rendo conto che finalmente uno spiraglio si apre.Un foro piccolo,ancora piccolo dal qualeperò filtra una spada di luce che dovrebbe incutere terrore ai violenti,agli stolker,agli stupratori,ai pedofili,a chi usa il mobbing come stile di vita,le vittime nonsono più sole nè mute,ormai se ne parla e questo parlarne è per quella feccia di cui sopra l’inizio della fine.Grazie a tutti coloro che ne parlano e in questo caso grazia a Barbara Benedettelli. Francesco Bisogni,Movimento Nazionale Antiviolenza e Antistalking Angeli Senza Fine,coordinatore nazionale.
Ci inorridiscono tante storie che annullano per sempre delle persone e lasciano le famiglie nella disperazione della perdita incolmabile. Ancora di più vedendo impagati i delitti, o pagati con sconti non giustificabili. Sono d’accordo con la bravissima scrittrice Benedettelli: dobbiamo vincere il senso di rifiuto nel vedere, ascoltare testimonianze così strazianti, ma la conoscenza e la diffusione di storie che hanno il diritto di essere conosciute deve esserci, la voce di tutti deve farsi in qualche modo sentire.
Per rivendicare giustizia, chiedere che i colpevoli di così gravi delitti siano puniti come meritano, che ci sia la certezza della pena laddove è solo una possibilità, che personalità pericolose siano rese innocue invece che libere di perpetrare il male su altre vittime. Qualcosa si muove nel terreno della lotta alla volenza, i dibattiti sono numerosi, non bisogna fermarsi.
Un grazie all’impegno di persone, come la giornalista Benedettelli, che contribuiscono alla presa di coscienza colletiva e che non si arrendono davanti al persistere dei vizi della Giustizia.
Grazie a Maria Rosaria, sempre presente nel difendere chi non ò abbastanza difeso dal nostro sistema.
Rita
Ritengo che il modo in cui viene gestita la cosiddetta “giustizia” sia la vera piaga, la più profonda e destabilizzante, della nostra società decadente e incivile. Il motivo per cui siamo allo sbando – e non può più esistere una POLITICA (come ricerca del bene comune), bensì una mera navigazione a vista – è a mio parere proprio questo. Non essendoci certezza del diritto, condivisione delle regole, non esiste una società. L’accozzaglia di furbetti che ci governa e pervade l’intera società civile questo LO VUOLE. Io voterò personalmente di nuovo solo un partito che ripristinerà la dignità umana, la proporzione tra entità del danno ed entità della pena, il rispetto dei più deboli (in particolare i bambini). Il libro ancora non l’ho letto ma credo che vada diffuso, anche solo per il tema che tocca, e si debba urlare a gran voce lo sdegno di chi si sente cittadino, non solo suddito inerme. Anche solo per averlo scritto, a Barbara: GRAZIE.
Condivido e sottoscrivo dalla prima all’ultima parola la risposta di Barbara al mio commento. Lungi da me ritenerla arrendevole: non si può combattere la battaglia che lei sta combattendo insieme a tutte le vittime della violenza senza una vera forza interiore ed un amore vero ed incondizionato per il bene comune. Ha perfettamente ragione la politica è anche un piccolo gesto quotidiano in difesa del più debole o scrivere un libro e battersi in ogni modo per una giustizia giusta. Ma è proprio il senso di solitudine “nella politica attiva” di cui parla Barbara (“mi sono trovata in un luogo dove ognuno è solo davanti ai suoi sogni, che siano personali o collettivi” – le sue parole sono semplicemente fantastiche) che prova chi di noi tenta di mettersi in gioco per cambiare qualcosa che dobbiamo combattere insieme arrivando anche lì ad “essere squadra” e non lasciare spazi o deleghe a chi non le merita.
A Barbara va comunque un grosso merito quello di avermi definitivamente arruolato nella battaglia che è “nel” suo libro.
Grazie a questa intervista, in alcuni tratti molto forte, ho rafforzato la mia convinzione che nel nostro Paese vi è un sistema giuridico che, il più delle volte, per non dire sempre, non assicura una pena certa a coloro che si macchiano di gravi reati. E’ sconcertante venire a sapere di persone che, con i loro atroci gesti, hanno tolto la vita nonchè generato un grande dolore e che le stesse non abbiano avuto una pena adeguata al loro atteggiamento. E’ ovvio che questa situazione non fa sentire assolutamente i cittadini tutelati, anzi ciò genera in molti di noi una “rabbia” indescrivibile.
Mi auguro che questo libro susciti una presa di coscienza da parte dei nostri legislatori a tal punto da dare una sferzata al nostro sistema giuridico.
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