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Alzheimer: pubblicate oggi negli USA le linee guida

di Marco Milano
 

"Perduta". Il messaggio della campagna stampa di Ogilvy & Mather Guatemala per l'associazione Az

Distrugge in modo progressivo le cellule cerebrali, portando gradualmente il soggetto che ne è affetto all’inabilità di una vita normale. Perdita di memoria, confusione con tempi e spazio, difficoltà nel linguaggio, cambiamenti di umore e personalità, sono tra i sintomi più comuni.

Nel mondo ne soffrono più di 20 milioni di persone, in Italia circa 800.000, in prevalenza donne. E’ il morbo di Alzheimer, catalogato tra le tipologie di demenza, che ogni anno registra 80.000 nuovi casi soprattutto tra anziani. Il National Institute on Aging (istituto per la ricerca sulle patologie correlate all’invecchiamento) e la Alzheimer’s Association (la più grande associazione di volontariato per il supporto alla ricerca della malattia) pubblicano oggi le prime linee guida americane per la malattia in 27 anni – i primi criteri clinici sono del 1984 – dopo un’anteprima pubblicata sul New York Times. In base alle nuove scoperte, la malattia viene descritta come un processo che si sviluppa gradualmente nel corso di molti anni, esordendo con mutamenti nel cervello, progredendo con problemi di memoria per arrivare ad uno stato definitivo di demenza conclamata. Viene riconosciuta ufficialmente, per la prima volta, la compromissione cognitiva lieve, descritta dieci anni fa, come precursore della malattia. I tre gruppi di esperti a capo del lavoro hanno sintetizzato i nuovi criteri e le linee guida per la diagnosi della malattia di Alzheimer in quattro articoli per uso clinico, scaricabili qui.

Tre, in sostanza, sono gli stadi in cui si può suddividere l’evolversi dell’alzheimer: lo sviluppo della demenza, uno stadio in cui emergono disturbi moderati e un livello finale in cui, senza sintomi evidenti, la progressione della malattia si concentra nel cervello. Le trasformazioni del cervello, causate dalla malattia, possono essere diagnosticate con dei metodi quali l’analisi sul liquido del midollo spinale, misurando i biomarcatori – indicatori fisiologici utili a segnalare una predisposizione alla demenza. Analogamente a quanto si può stabilire, ad esempio, per la propensione agli attacchi cardiaci con la rilevazione di colesterolo alto, per l’alzheimer dei biomarcatori promettenti sono stati individuati nei livelli anormali delle proteine amiloidi e tau, uniti alla riduzione di certe aree cerebrali. Tuttavia, per il momento, simili test possono essere utilizzati solo per pazienti inseriti in sperimentazioni cliniche già avviate e non ancora eseguiti nell’uso comune. Secondo le dichiarazioni rilasciate al NY Times da Marilyn Albert, direttore del Johns Hopkins Alzheimer’s  Disease Research Center e a capo del team che curato le pubblicazioni, risulta evidente che non ci sono ancora le condizioni per standardizzare i risultati dei test.

Le nuove linee guida forniscono indicazioni e speranze sulla possibilità di avere a breve conoscenze più specifiche sui biomarcatori. L’incremento di nuove ricerche, in seguito a questa pubblicazione, dovrebbe consentire con maggiore facilità lo sviluppo di medicinali in grado di attaccare le mutazioni del cervello. Inoltre, sarà più facile distinguere i sintomi dell’alzheimer da altre forme di demenza, individuando come principali i cambi di umore, i disturbi del linguaggio, della percezione visiva e del ragionamento e non più la perdita di memoria.

Sebbene non ci siano dati e margini di sicurezza sufficienti per dire a medici e pazienti cosa fare concretamente, la comunità medica e scientifica è allertata. Un nuovo percorso di ricerca può iniziare.


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